RACCONTI
Silvia Luscia
Il negozio dei fogli di carta
Melanoma. Questo il nome della malattia che lo teneva inchiodato alla sedia di una sterile sala d’attesa dello Spedale Civile di Brescia. Da quando aveva quattordici anni non aveva mai perso una sola giornata di lavoro in negozio. Nemmeno la domenica quando abbassata la serranda, compilava i registri contabili, appoggiandosi ai tecnigrafi d’esposizione. Renzo era seduto e accartocciava una carta pregiata giapponese, che conteneva farfalle tra la filigrana. Tra il rumore della carta si srotolavano i ricordi. Una storia di carta e fatica che suo padre aveva iniziato per lui subito dopo la fine della guerra. Già, la guerra. Quando scoppiò suo padre era troppo vecchio per essere arruolato, così venne militarizzato presso un piccolo borgo delle campagne bresciane, Ponterosso. Renzo e la sua famiglia divennero degli sfollati accolti in un cascinale dalla generosità di alcune famiglie contadine. E quando la guerra finì, Renzo trovò la sua casa in città distrutta dai bombardamenti. Suo padre occupò un appartamento nelle vicinanze, un alloggio abbastanza capiente per potere contenere un piccolo laboratorio di stampaggio per lui e una stanza per l’attività di pellicciaia della madre. Fu allora che suo padre, grazie ai prestiti di alcuni amici, chiese al sindaco di rilevare la prestigiosa attività Tamagni, il più grande negozio di carta cittadino, di cui era stato un giovane garzone prima della guerra. L’attività ampliava sempre più la propria clientela e Renzo, ancora ragazzino, aveva iniziato ad accompagnare il padre il martedì a Milano per acquistare pezzi da disegno per i più prestigiosi studi ingegneristici di Brescia. Tutta la famiglia lavorava in negozio, anche la madre che aveva abbandonato l’arte della pellicciaia. Avevano cambiato tre volte sede all’attività e ora Renzo sapeva che avrebbe dovuto chiudere il suo negozio, abbassare per l’ultima volta la serranda. La ricostruzione degli anni Cinquanta aveva dato una notevole spinta alla loro attività commerciale, strettamente legata al mondo dell’architettura e del disegno meccanico, tanto ferventi nella provincia bresciana. Anni in cui la cultura del lavoro si basava sull’onestà e sorrideva Renzo al pensiero di non aver mai visto suo padre effettuare una cambiale per un cliente fino agli anni Settanta. Proprio in quegli anni invece la loro attività aveva risentito di un brusco rallentamento. Gli scioperi e le proteste incendiavano Brescia e rallentavano le vendite. La paura era tanta, si doveva abbassare la serranda. Allora si correva a teatro liberi dal lavoro, schiacciati al portone per accaparrarsi i migliori posti del loggione e sentire l’opera e sentirsi liberi da tutte le paure e le lotte sociali. Il progresso non aveva mai interessato Renzo, per questo non aveva mai deciso di adeguarsi alla vendita dei personal computer. No. Il suo rimaneva il negozio della carta, carta da disegno, carta da lettera, carta pregiata. Da suo padre aveva imparato l’educazione al lavoro e il culto della qualità, il gusto estetico. Il primo valore che si portava nel cuore, anche ora che stava morendo, era quell’educazione al sacrificio e alla responsabilità che quotidianamente aveva fatto crescere lui e le sue sorelle quando puntuali aprivano il negozio, servivano la clientela e si relazionavano soli e impacciati coi fornitori, finché non compariva l’ombra rassicurante del padre. Proprio il suo rapporto con la gente aveva stimolato la sua crescita culturale, il suo interesse per le lingue e le terre lontane, lui che non aveva potuto studiare, perché “bisognava andare a negozio”. Il contatto con la clientela ne aveva affinato anche il gusto estetico. L’unione di queste istanze lo aveva portato a viaggiare da un capo all’altro del mondo per reperire, scoprire e comprare carte pregiate. Ricordava i primi viaggi in Italia, alla Valle dei Mulini di Amalfi per acquistare la carta Amatruda, viaggi in America nelle riserve indiane per portare in negozio la carta delle tribù Sioux e ancora l’amore per le carte francesi, cinesi, le pregiate carte nepalesi e le amate giapponesi. La filigrana giapponese era pelle di natura tra le dite, epidermide levigata. Non aveva mai avuto una donna Renzo, ma la pelle di una donna era per lui immaginario di carta giapponese.
I passi dell’infermiera lo ridestarono dai ricordi. Melanoma. E chissà se proprio la sua vita non era ora farfalla imbrigliata tra la filigrana dell’epidermide di carta.
I passi dell’infermiera lo ridestarono dai ricordi. Melanoma. E chissà se proprio la sua vita non era ora farfalla imbrigliata tra la filigrana dell’epidermide di carta.
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