RECENSIONI
Martino Ferro
Il primo che sorride
Einaudi, Pag.159 Euro 14,00
Questo è un libro sull'infanzia (meglio, sull'essere dei bambini) - anche se forse non lo sa. E, se lo sa, magari lo sa per ragioni sbagliate. Ogni tanto, capita a questo Paradiso di trattare libri e storie concernenti bambini e ragazzi: molto si dice su di loro, e molto è chiacchiera, vaneggiare, fumo. Così, nel suo piccolissimo, le Ns. rubriche provano a togliere, dai discorsi sui giovani e giovanissimi, il troppo e il vano. Al benigno Lettore il giudizio sulla riuscita di tale minuscola intrapresa.
Bambini, dicevamo: Nicòl, protagonista di questo breve e avvincente racconto lungo, ha, direi, undici anni - ma spesso è bugiarda sul dato d'anagrafe. Vive in una famiglia di quelle che i gazzettieri si compiacciono di chiamare "a rischio": la mamma è un'attrice da strapazzo, il papà non c'è, la sorella traffica in droga, il partner della madre si giace pure con lei. Amica e compagna d'avventure della ragazzina è una forse quindicenne Sanila - albanese? Kosovara? Boh!? - spacciatrice anch'ella, con amicizie, per così dire, poco raccomandabili (che tuttavia solo s'intravedono), forte solo nell'arte di arrangiarsi, in odore di puttanìsmo. Compagno di classe le è, infine, Claudio, un tontolone svillaneggiato da due bulletti - nel loro videofonino, che Nicòl diciamo così recupera, si conserva di lui una foto ove nudo "dalla cintola in giù tutt'il vedrai", e in posizione da nido di uccello padùlo.
Stando così le cose, il libro s'esaurirebbe, ricadendo su sé stesso e sulla retorica mutuata dalla cronaca - il disagio, il bullismo, la disattenzione adulta, etc.: invece, tutto questo degrado (altra parola degna d'una delle tante trasmissioni ammazzasette pomeridiane) viene dalla protagonista (e dall'Autore) messa tra parentesi graffe, grazie a una strategia linguistica raffinatissima, che è il centro d'attrazione delle pagine. Come l'albero ingloba nella galla dei tannìni la sostanza o il corpo estraneo che ne minaccia la salute, e si cura, così Nicòl si corazza dalle offese del mondo dàndogli il senso che lei vuole, e non la mancanza di significato, il vuoto, o il senso comune che esso imporrebbe. "Fare, e non subire, è il principio del piacere" (Alain): come in epoca medievale, in cui la pianta con le foglie a forma di fegato si reputava capace di curare l'organo medesimo, e il leone era simbolo di Cristo perché, si diceva, cancellava le tracce con la coda, come il Figlio dell'Uomo confondeva i pagani, per Nicòl alzarsi una mattina e incontrare una Bambina con una Bambola Barbie significa che quel giorno qualcuno le avrebbe dato il primo Bacio. La sequenza di B non poteva essere casuale: né l'incontro, poco dopo, con Claudio - sarà lui che la bacerà. Invece, no: ma questo non significa che vi sia errore, solo è Nicòl che non ha capito bene: allora si piazza dinanzi ad un sottopasso, e si ripromette che a baciarla sarà il primo che vi passa. Ma si distrae proprio quando escono due passanti: un giovane uomo - che si rivelerà, vedi caso, professore di statistica -, un vecchio incerto. Chi sarà stato il primo? La ragazzina li tampìna, rivolge loro un sacco di domande - è petulante, in effetti - , quindi decide per il vecchio. Dopo le cose si complicano. Ma non è nell'intreccio dei fatti, ripetiamo, il piacere di questo testo - anche se l'Autore ha saputo disporli su un itinerario ben variato, sì da non costringere l'avventore alla distrazione o peggio al tedio. Dunque, non ci attarderemo su di essi: notiamo solo, prima di tornare alle considerazioni iniziali, che le procedure di appropriazione e difesa tramite il linguaggio coinvolgono anche la denominazione, l'elenco: un gioco che la ragazzina fa tornando a casa a piedi, è una sorta di "Simon dice": se si incontra un sasso nero, si dice "un sasso nero"; se poi si vede un gatto, allora si dirà "un sasso nero, un gatto", e così via allungando l'elenco finché non si rinviene un altro sasso nero, che chiuda a ruota la filastrocca - oppure che si sia arrivati dove si doveva. Attività favorita dalla circostanza per cui Nicòl vede bene solo quando guarda davanti a sé, e in basso: sia per motivi fisiologici, sia per impedimento psichico, alzando lo sguardo, o veloce spostandolo, viene presa da una vertigine - guarirà da tale limitazione, però l'Autore lascia in sospeso se ciò ed il conseguente finale sian cose positive.
Dicevamo: un libro sull'essere, sulla materia, dei bambini. Sulla loro vita. Ricorderà il Lettore testi quali Le grand Meaulnes, o anche Lord of flies, ma anche Fanny ed Alexander, o certe pagine in cui Mario Lodi rievoca la propria povera infanzia: luoghi ove il folklore dei bambini si manifestava come mondo a parte, con regole e valori e immaginari suoi. Si può sorridere sul fatto che, ovunque nel mondo, dai giardinetti dei suburbia di lusso alle pelate dell'ultima bidonville, il padrone del pallone abbia certi privilegi, codificati e rispettati. Viceversa, ci si può preoccupare che i ragazzini mentano sistematicamente anche su cose gravi o gravissime, scambiando quella che è, come dire, difesa del loro territorio con l'omertà mafiosa. Questo, però, con tutti i problemi che può portare, individua la capacità dei ragazzini di comportarsi autonomamente dagli adulti; di formare, malgrado tutto, una vita parallela, e propria, rispetto alla nostra. Nicòl risolve - o comunque affronta - i suoi casi delegando alla sensibility quel che il sense non può dare, o potrebbe, ma al costo della riduzione del proprio io, del proprio essere, ad appendice adulta. E', talvolta, l'errore che compiamo nell'aver a che fare con i bambini e i ragazzi la cui vita è stata dura, sbandata e sporca in alcuni casi al limite del bestiale: con le migliori intenzioni, noi siamo lì a proporre loro il balocchino, il fiocco azzurro, la pappa di pomodoro. Ma ben altri frutti hanno addentato, ben altre prove - e quanto serie - hanno superato. Sentendosi dunque degni di altro che sia il melenso e il bambinesco - e a ragione. Per saperlo, non serve molto: basta leggere Agostino, di Moravia, il cui giovanissimo eroe si sente impreparato a reggere la triviale rozzezza dei monelli, e però gli paiono ormai insipidi e sciocchi i ragazzetti di famiglia suoi simili, con i quali dovrebbe intrattenersi sulla spiaggia "perbene".
Qui l'intelligenza della scrittura disegna, allora, un personaggio perfettamente intagliato, di rara finezza - tanto più apprezzabile visto che l'Autore è un maschietto (a meno di "Madame Bovary c'est moi") - di ragazzina autonoma, di giovanissima che non ha bisogno degli adulti, che vive nel proprio universo come attrice e non come comparsa, piegandolo e non piegandovisi. Come insinuato nella commistione tra bacio e morte (ma qui siamo a Carolina Invernizio), e più nel finale, comunque, tutto ciò potrebbe avere un alto prezzo. Ma il dubbio rimane: perché insopportabile, o perché finisce?
di Giulio Lascaris
Bambini, dicevamo: Nicòl, protagonista di questo breve e avvincente racconto lungo, ha, direi, undici anni - ma spesso è bugiarda sul dato d'anagrafe. Vive in una famiglia di quelle che i gazzettieri si compiacciono di chiamare "a rischio": la mamma è un'attrice da strapazzo, il papà non c'è, la sorella traffica in droga, il partner della madre si giace pure con lei. Amica e compagna d'avventure della ragazzina è una forse quindicenne Sanila - albanese? Kosovara? Boh!? - spacciatrice anch'ella, con amicizie, per così dire, poco raccomandabili (che tuttavia solo s'intravedono), forte solo nell'arte di arrangiarsi, in odore di puttanìsmo. Compagno di classe le è, infine, Claudio, un tontolone svillaneggiato da due bulletti - nel loro videofonino, che Nicòl diciamo così recupera, si conserva di lui una foto ove nudo "dalla cintola in giù tutt'il vedrai", e in posizione da nido di uccello padùlo.
Stando così le cose, il libro s'esaurirebbe, ricadendo su sé stesso e sulla retorica mutuata dalla cronaca - il disagio, il bullismo, la disattenzione adulta, etc.: invece, tutto questo degrado (altra parola degna d'una delle tante trasmissioni ammazzasette pomeridiane) viene dalla protagonista (e dall'Autore) messa tra parentesi graffe, grazie a una strategia linguistica raffinatissima, che è il centro d'attrazione delle pagine. Come l'albero ingloba nella galla dei tannìni la sostanza o il corpo estraneo che ne minaccia la salute, e si cura, così Nicòl si corazza dalle offese del mondo dàndogli il senso che lei vuole, e non la mancanza di significato, il vuoto, o il senso comune che esso imporrebbe. "Fare, e non subire, è il principio del piacere" (Alain): come in epoca medievale, in cui la pianta con le foglie a forma di fegato si reputava capace di curare l'organo medesimo, e il leone era simbolo di Cristo perché, si diceva, cancellava le tracce con la coda, come il Figlio dell'Uomo confondeva i pagani, per Nicòl alzarsi una mattina e incontrare una Bambina con una Bambola Barbie significa che quel giorno qualcuno le avrebbe dato il primo Bacio. La sequenza di B non poteva essere casuale: né l'incontro, poco dopo, con Claudio - sarà lui che la bacerà. Invece, no: ma questo non significa che vi sia errore, solo è Nicòl che non ha capito bene: allora si piazza dinanzi ad un sottopasso, e si ripromette che a baciarla sarà il primo che vi passa. Ma si distrae proprio quando escono due passanti: un giovane uomo - che si rivelerà, vedi caso, professore di statistica -, un vecchio incerto. Chi sarà stato il primo? La ragazzina li tampìna, rivolge loro un sacco di domande - è petulante, in effetti - , quindi decide per il vecchio. Dopo le cose si complicano. Ma non è nell'intreccio dei fatti, ripetiamo, il piacere di questo testo - anche se l'Autore ha saputo disporli su un itinerario ben variato, sì da non costringere l'avventore alla distrazione o peggio al tedio. Dunque, non ci attarderemo su di essi: notiamo solo, prima di tornare alle considerazioni iniziali, che le procedure di appropriazione e difesa tramite il linguaggio coinvolgono anche la denominazione, l'elenco: un gioco che la ragazzina fa tornando a casa a piedi, è una sorta di "Simon dice": se si incontra un sasso nero, si dice "un sasso nero"; se poi si vede un gatto, allora si dirà "un sasso nero, un gatto", e così via allungando l'elenco finché non si rinviene un altro sasso nero, che chiuda a ruota la filastrocca - oppure che si sia arrivati dove si doveva. Attività favorita dalla circostanza per cui Nicòl vede bene solo quando guarda davanti a sé, e in basso: sia per motivi fisiologici, sia per impedimento psichico, alzando lo sguardo, o veloce spostandolo, viene presa da una vertigine - guarirà da tale limitazione, però l'Autore lascia in sospeso se ciò ed il conseguente finale sian cose positive.
Dicevamo: un libro sull'essere, sulla materia, dei bambini. Sulla loro vita. Ricorderà il Lettore testi quali Le grand Meaulnes, o anche Lord of flies, ma anche Fanny ed Alexander, o certe pagine in cui Mario Lodi rievoca la propria povera infanzia: luoghi ove il folklore dei bambini si manifestava come mondo a parte, con regole e valori e immaginari suoi. Si può sorridere sul fatto che, ovunque nel mondo, dai giardinetti dei suburbia di lusso alle pelate dell'ultima bidonville, il padrone del pallone abbia certi privilegi, codificati e rispettati. Viceversa, ci si può preoccupare che i ragazzini mentano sistematicamente anche su cose gravi o gravissime, scambiando quella che è, come dire, difesa del loro territorio con l'omertà mafiosa. Questo, però, con tutti i problemi che può portare, individua la capacità dei ragazzini di comportarsi autonomamente dagli adulti; di formare, malgrado tutto, una vita parallela, e propria, rispetto alla nostra. Nicòl risolve - o comunque affronta - i suoi casi delegando alla sensibility quel che il sense non può dare, o potrebbe, ma al costo della riduzione del proprio io, del proprio essere, ad appendice adulta. E', talvolta, l'errore che compiamo nell'aver a che fare con i bambini e i ragazzi la cui vita è stata dura, sbandata e sporca in alcuni casi al limite del bestiale: con le migliori intenzioni, noi siamo lì a proporre loro il balocchino, il fiocco azzurro, la pappa di pomodoro. Ma ben altri frutti hanno addentato, ben altre prove - e quanto serie - hanno superato. Sentendosi dunque degni di altro che sia il melenso e il bambinesco - e a ragione. Per saperlo, non serve molto: basta leggere Agostino, di Moravia, il cui giovanissimo eroe si sente impreparato a reggere la triviale rozzezza dei monelli, e però gli paiono ormai insipidi e sciocchi i ragazzetti di famiglia suoi simili, con i quali dovrebbe intrattenersi sulla spiaggia "perbene".
Qui l'intelligenza della scrittura disegna, allora, un personaggio perfettamente intagliato, di rara finezza - tanto più apprezzabile visto che l'Autore è un maschietto (a meno di "Madame Bovary c'est moi") - di ragazzina autonoma, di giovanissima che non ha bisogno degli adulti, che vive nel proprio universo come attrice e non come comparsa, piegandolo e non piegandovisi. Come insinuato nella commistione tra bacio e morte (ma qui siamo a Carolina Invernizio), e più nel finale, comunque, tutto ciò potrebbe avere un alto prezzo. Ma il dubbio rimane: perché insopportabile, o perché finisce?
di Giulio Lascaris
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