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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Alberto Lucchini

Il segreto dello scrittore

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Quando uscii dal bagno la trovai addormentata sul divano. Aveva una coperta e probabilmente sotto era ancora nuda: e pensare che due ore prima ero in coda al supermercato a parlare con una sconosciuta.  
Improvviso, all’interno della casa, sentii un rumore provenire da dietro una porta. Sembrava un rantolo. Lei non se ne accorse. Osservai l’uscita, poi quella porta.  
Optai per la seconda scelta.
Una volta aperta mi ritrovai di fronte un tizio con due pesanti occhiali che gli occupavano gran parte del viso. I capelli erano incollati alla fronte, come fossero bagnati. Dopo un primo sguardo capii che erano invece unti e la lurida tuta grigia che indossava se la passava persino peggio.
Fissai il suo sguardo, oleoso e disperato.
- Vieni dentro, non ti far sentire - mi disse con un filo di voce.
Chiuse la porta non prima di aver controllato se fossi solo.
- Siediti su quella sedia, mi devi aiutare - aveva il fiatone.
- Fatti una doccia però - glielo dovevo far presente.
- Prima devo uscire da questa casa. E tu mi devi aiutare.
- Questo me l’hai già detto.
- Io non dovrei neanche essere qui.
- Neanche io – dissi.
Prese da uno scaffale un libro e me lo diede.
- Ho già sentito parlare di questo tipo – dissi leggendo l’autore.
- Quel libro l’ho scritto io.
Dal salotto sentimmo improvvisa una voce.
- Ciao cara.
Il tizio unto si irrigidì e mi fece segno di non parlare. Poi si avvicinò alla porta della camera e con estrema lentezza girò la chiave per chiuderla.
- Sono stanco morto e ho già mangiato. Mi ritiro in camera da letto – la voce era quella di un uomo.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.
Mister Occhialone stava attaccato alla porta e quasi non respirava. Quando la casa sembrò ripiombare nel silenzio si avvicinò di nuovo a me.
- Ora stammi a sentire – e cominciò ad armeggiare sulla piccola scrivania vicino al letto.
- Quel figlio di puttana che sta di là è Stefano Re e io sono la persona che ha scritto tutti i suoi libri - mi disse prendendo un computer portatile da un cassetto.
- Stefano Re, lo scrittore che ogni tanto va in TV?
- Esatto -  e cominciò a sbatacchiare sui tasti del computer.
- Sono io che gli scrivo tutti i romanzi, capisci? Lui non ha mai scritto una riga. Mi tiene in ostaggio da anni nella sua cantina e mi costringe a scrivere per lui, ma oggi sono riuscito a scappare. Nelle ultime settimane ho notato che la serratura è difettosa e fortunatamente lui non se n’è accorto.
Io lo fissai come fosse un marziano.
- Dici sul serio?
Lui mi fissò a sua volta, sollevando per un attimo lo sguardo dallo schermo.
- Ti sembro uno che ha voglia di scherzare?
Effettivamente no.
- Ora ti spiego cosa farò. Su questo computer scriverò un racconto ambientato a mille chilometri da qui, in un’altra città, forse in un altro Stato. Scriverò di me, di come vorrei essere, di un nuovo lavoro, di una nuova vita. E al termine del racconto io diventerò il protagonista della mia storia. Esattamente come l’ho descritto. E la mia vita ricomincerà. Lontano da qui.
Guardai il letto, la piccola finestra che dava sul grigio cortile sotto di noi e poi di nuovo quel tipo.
- Ma com’è possibile?
- Solo scrivendo.
Mi sembrava veramente di essere di fronte a un marziano.
- Mettiamo che non sei pazzo e io non sto sognando: ma perché non l’hai fatto prima?
- Perché posso farlo solo da questo computer che però è collegato ad una rete domestica che mi impedisce di realizzare quello che scrivo. Quel figlio di puttana di Re ha creato un filtro che blocca il flusso di parole a questa pagina, in questo luogo.
Volevo andarmene da lì e lasciare quel pazzo, ma ora avevo anche io un problema: il cornuto era tornato a casa e la mia presenza non l’avrebbe di certo gradita.
- Ora entri in gioco tu – mi disse. - Esiste una password che se inserita mi permette di uscire da questo filtro.
- E dov’è ‘sta password?
- Sul fondo di una statuetta vicino l’ingresso, non ti puoi sbagliare. E’ quella a forma di Torre di Pisa, di quelle che comprano i turisti. Portala qui e ci penso io.
Forse dar retta a quel tizio mi sarebbe servito a uscire da quella situazione. Non mi rimaneva altra scelta: decisi di aiutare il marziano unto e mi tuffai nel buio di quella casa da cui non sapevo come uscire.
Uscii dalla stanza e utilizzai la torcia del cellullare. La luce si poggiò prima sul piccolo tavolino di fronte al divano, poi sullo scaffale dove era posizionata la TV. Passai infine il fascio luminoso sulla libreria vicino alla porta d’ingresso e lì vidi la statuetta. La presi e la portai al marziano unto, stando sempre attento a non fare rumore.
Appena gliela diedi ci si avventò sopra come un assatanato.
- Ecco la password – esclamò a denti stretti.
Si mise davanti al computer e cominciò subito a pigiare sui tasti.
Io mi sdraiai sul letto.
- Toglimi una curiosità: perché hai scritto tutti quei libri per un pezzo di merda che ti sfruttava? – gli chiesi.
- Scrivere è l’unica cosa che riesco a fare.
L’osservai ancora per un poco continuare a battere sui tasti.
Poi mi addormentai.

Fui svegliato all’improvviso. Motivo: un tizio mi stava stringendo in maniera poco amorevole le mani attorno al collo. Era sopra di me e sbraitava, mentre in lontananza una voce gli diceva di smettere.
Lo riconobbi: era Stefano Re. L’altra voce che cercava di farlo smettere era quella della moglie.
- Mi faccia spiegare – dissi cercando di liberarmi.
Re di tutta risposta mi mollò un pugno che io riuscii a schivare e che andò a infrangersi contro il cuscino dietro di me. Poi d’improvviso si alzò e mi liberò dal suo peso, che era notevole.
- Alzati!
Mi sollevai a fatica.
- Non mi sono scopato sua moglie – dissi.
- Cosa? Che hai fatto?
- Non è vero, è impazzito - intervenne lei.
- Taci Veronica – le urlò.
Cercai di pensare in modo più intelligente rispetto a quello che avevo fatto fino a quel momento. Mi girai verso la scrivania e notai il computer: non c’era nessun’altro in quella stanza oltre a me, Veronica e il cornuto.
- Credo che il tuo scrittore se ne sia andato - dissi.
Stefano Re guardò il computer, poi bestemmiò e uscì in tutta fretta dalla stanza.
- Ma che ti salta in mente? Io credevo fossi uscito. Perché sei rimasto qui? - disse Veronica. Aveva uno sguardo terrorizzato.
- Ma sapevi che tuo marito teneva chiusa una persona in cantina?
Dal suo sguardo capii che non lo sapeva.
- Dammi la chiave della porta blindata - le dissi. Stavo infatti perdendo tempo: dovevo andarmene.
Prima ancora che Veronica potesse rispondermi rispuntò Re.
- Dove cazzo è finito? Io ora ti ammazzo.
Si diresse verso di me. Riuscii a sgusciare via e mi fiondai in salotto.
- Dove stanno le chiavi? - urlai a Veronica.
- Non le ho!
Era un incubo.
- Senta – dissi rivolgendomi a Re. - Io non so nulla. Sono solo passato ad aiutare sua moglie con la spesa, poi mi sono appisolato. Non so nulla di niente, mi creda.
Lui, che non sembrava interessato alla mia versione dei fatti, cercò di nuovo di saltarmi addosso. Appena mi fu di fronte, d’istinto, gli mollai un calcio alle palle. Re si piegò subito a terra bestemmiando.
- Ce le ha lui? - urlai a Veronica approfittando del fatto che il mio avversario era temporaneamente kappaò.
Lei era come impietrita, incapace di muoversi.
- Le chiavi! Ce le ha lui? – la spronai.
Finalmente sembrò svegliarsi improvvisamente da quel torpore e si avvicinò al marito, che stava a terra ancora tramortito dal dolore. Appena lo toccò lui cercò di afferrarla. Senza pensare gli mollai un calcio in pieno viso. Re lasciò andare subito la moglie e in un attimo si accasciò di nuovo a terra.
- L’hai ammazzato? – chiese Veronica.
- Non lo so. Prendigli le chiavi.
Mentre Veronica le cercava nelle sue tasche lui rimase immobile. Forse era veramente morto.
Poi finalmente le chiavi saltarono fuori.
- Tu ora vieni con me, io intanto chiamo i carabinieri - dissi.
In qualche modo avremmo spiegato tutto.

Erano passati quasi sei mesi da quell’episodio e Veronica non l’avevo più rivista. Dopo aver chiamato i carabinieri avevo deciso di andarmene. La mia versione dei fatti difficilmente avrebbe retto. Lei invece poteva finalmente denunciarlo e sicuramente la sua posizione, anche in caso fosse morto, era migliore della mia: avrebbe raccontato che, per l’ennesima volta, lui l’aveva picchiata e lei l’aveva colpito per difendersi. Legittima difesa.
Su Stefano Re però non sentii nulla: né sul fatto se fosse morto né di altro. Feci una ricerca anche su internet ma non uscì fuori niente. Non rividi mai più neanche il marziano unto: forse era veramente riuscito a sparire chissà dove.
Sparito nel luogo uscito dal suo racconto.

Una sera feci una cosa che non avevo mai fatto prima: presi il mio portatile e aprii un foglio bianco. Lo fissai e poi cominciai a riempirlo, battendo sui tasti tutta notte. Il giorno dopo ero esattamente nello stesso luogo della sera prima, ma successe una cosa nuova: mi sentivo felice.



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