RECENSIONI
Roberto Denti
Incendio a Cervara
Voland, pag.135 Euro 10,00
Rem(a)inders. Dodicenne, leggo sul "Corriere dei Ragazzi" che a Milano s'era aperta una Libreria dei Ragazzi. Invidia, scuorno, accidenti al malgoverno DC (ci stavano sempre bene): "mai che a Roma...". Anni - sei, sette - passano, e faccio un'andata-ritorno in treno per Milano con i du'scudi (diecimila lire) guadagnati col "porta a porta" (altri tempi: oggi, col "porta a porta", il treno te lo compri). Scopo del viaggio: con una centomilalira in tasca (avevo rotto il dindaròlo) fare un giro delle librerie della Capitale Morale. Via Durini, subito. Corso Vittorio, e la Francese in una traversa. Il gran remainder della Galleria. E, a via Tommaso Grossi, la Libreria suddetta, gestita (ma io non lo sapevo) da Roberto Denti e signora. Due soli acquisti - uno non me lo ricordo, l'altro un desiäto (all'epoca) saggio di educazione sessuale, il cui autore mi si rivelerà (eoni dopo) un perfetto educazzone sessuale.
Poi, I bambini leggono, e Lasciamoli leggere, testi Einaudi nei quali Denti ripercorre l'esperienza della libreria - perciò mi sono messo a ricordare qualche fatto mio: vita chiama vita - e polemizza e analizza modi e maniere del nostro rapporto con le carognette, quand'esso sia medi(t)ato dall'oggetto libro.
Dopodiché, niente più, fino a stamattina, quando m'accorgo di questo romanzo prefato dal fu Pier Paolo Pasolini. (Seduta spiritica? No, Descrizioni di descrizioni). La storia - invenzione: gli abitanti dànno fuoco al loro paese toscappenninico, fra Emilia e Liguria, dove scorre il Magra -, è raccontata dai protagonisti in una apparente presa diretta, tuttavia si basa (per due dei tre episodi in cui è diviso il libro) su solidi e dichiarati documenti. E non le sono estranei, io credo, gli scritti di don Milani, almeno i reperibili all'epoca (il libro esce nel 1971). Se dovessi trovare parentele letterarie, indicherei come temi Bianciardi e Cassola (Minatori della Maremma, Il taglio del bosco), e per lo stile (anzi "l'ostile", ché questa è storia di cruenta opposizione, di sconfitta) il Balestrini di Vogliamo tutto, in Denti con minor interesse nel voler offrire una prova d'autore.
Punto di forza del testo è invece presentare con energia e immediatezza l'impasse che ha paralizzato la miglior politica in Italia: la rivoluzione (cioè il cambiamento radicale, strutturale) non si può fare, e le riforme o il progresso non solo rafforzano il predominio di borghesia e padronato, ma il piccolo benessere che pure portano annacqua e sbiadisce le vite, e quel poco di duro ma autentico che vi era rimasto. Sì, siamo dalle parti del genocidio culturale: ma a Cervara esso acquista una concretezza che non può avere nella sua formula, e nemmeno negli esempi in forma poetica dati a sostegno della tesi dai letterati. Qui, perdita di una cultura significa innanzitutto perdita dell'autonomia assicurata dal poco e arcaico sapere tecnico (tagliare la segale, trattare i funghi, capire quando sarebbe arrivato il temporale per riparare le pecore, alzare una carbonaia). E dunque svuotamento d'una struttura di ruoli consolidata, sebbene contestabile in astratto nei suoi aspetti violenti (sottomissione delle donne, mantenuta anche dalle botte, e resa dei giovani al padre-padrone). Tratti questi che davano la fisionomia d'una forma di vita subito sradicata e, dopo, sostituita da una falsa - e non meno opprimente, dato che le costruzioni oppressive che prima riguardavano donne e giovani sotto certi riguardi, ora riguardano tutti sotto quelli produttivi. E' il gioco di ogni colonialismo: va a liberare gli schiavi conclamati, schiavizzando tutti - e facendo sì che ognuno introietti le categorie della sua illibertà.
Certo, indietro non si torna: riproporre, magari sotto forma di "comune", le cadenze di quella vita è impossibile e inutile - di più: inautentico. Ma libri come questi proclamano che una vita diversa, reale, è possibile, e che bisogna cercarla sviluppando le tendenze alla realtà che anche la più irreale (cioè borghese) delle situazioni possiede.
Ed è chiaro che bisognerà attendersi resistenze e sabotaggi. E Denti ne sottolinea uno che non ho finora trovato altrove, e il cui pregio non è solo l' originalità, ma pure e più d'essere sintomo di una situazione di ricatto che s'è andata poi generalizzando: per mandare in malora la cooperativa nata dopo l'incendio e chiudere la sezione comunista, il direttore e il gestore dello spaccio vengono accusati di aver violentato una vecchia e una bambina. Risultato: in quel periodo la gente si guardava bene dal parlare di socialismo e di comunismo, il terrore di essere incriminato per violenza carnale faceva sì che un uomo evitasse di parlare con una donna: arrivarono persino a togliersi il saluto. (p. 98) Quando il gioco si fa sporco, i borghesi cominciano a giocare.
di Vera Barilla
Poi, I bambini leggono, e Lasciamoli leggere, testi Einaudi nei quali Denti ripercorre l'esperienza della libreria - perciò mi sono messo a ricordare qualche fatto mio: vita chiama vita - e polemizza e analizza modi e maniere del nostro rapporto con le carognette, quand'esso sia medi(t)ato dall'oggetto libro.
Dopodiché, niente più, fino a stamattina, quando m'accorgo di questo romanzo prefato dal fu Pier Paolo Pasolini. (Seduta spiritica? No, Descrizioni di descrizioni). La storia - invenzione: gli abitanti dànno fuoco al loro paese toscappenninico, fra Emilia e Liguria, dove scorre il Magra -, è raccontata dai protagonisti in una apparente presa diretta, tuttavia si basa (per due dei tre episodi in cui è diviso il libro) su solidi e dichiarati documenti. E non le sono estranei, io credo, gli scritti di don Milani, almeno i reperibili all'epoca (il libro esce nel 1971). Se dovessi trovare parentele letterarie, indicherei come temi Bianciardi e Cassola (Minatori della Maremma, Il taglio del bosco), e per lo stile (anzi "l'ostile", ché questa è storia di cruenta opposizione, di sconfitta) il Balestrini di Vogliamo tutto, in Denti con minor interesse nel voler offrire una prova d'autore.
Punto di forza del testo è invece presentare con energia e immediatezza l'impasse che ha paralizzato la miglior politica in Italia: la rivoluzione (cioè il cambiamento radicale, strutturale) non si può fare, e le riforme o il progresso non solo rafforzano il predominio di borghesia e padronato, ma il piccolo benessere che pure portano annacqua e sbiadisce le vite, e quel poco di duro ma autentico che vi era rimasto. Sì, siamo dalle parti del genocidio culturale: ma a Cervara esso acquista una concretezza che non può avere nella sua formula, e nemmeno negli esempi in forma poetica dati a sostegno della tesi dai letterati. Qui, perdita di una cultura significa innanzitutto perdita dell'autonomia assicurata dal poco e arcaico sapere tecnico (tagliare la segale, trattare i funghi, capire quando sarebbe arrivato il temporale per riparare le pecore, alzare una carbonaia). E dunque svuotamento d'una struttura di ruoli consolidata, sebbene contestabile in astratto nei suoi aspetti violenti (sottomissione delle donne, mantenuta anche dalle botte, e resa dei giovani al padre-padrone). Tratti questi che davano la fisionomia d'una forma di vita subito sradicata e, dopo, sostituita da una falsa - e non meno opprimente, dato che le costruzioni oppressive che prima riguardavano donne e giovani sotto certi riguardi, ora riguardano tutti sotto quelli produttivi. E' il gioco di ogni colonialismo: va a liberare gli schiavi conclamati, schiavizzando tutti - e facendo sì che ognuno introietti le categorie della sua illibertà.
Certo, indietro non si torna: riproporre, magari sotto forma di "comune", le cadenze di quella vita è impossibile e inutile - di più: inautentico. Ma libri come questi proclamano che una vita diversa, reale, è possibile, e che bisogna cercarla sviluppando le tendenze alla realtà che anche la più irreale (cioè borghese) delle situazioni possiede.
Ed è chiaro che bisognerà attendersi resistenze e sabotaggi. E Denti ne sottolinea uno che non ho finora trovato altrove, e il cui pregio non è solo l' originalità, ma pure e più d'essere sintomo di una situazione di ricatto che s'è andata poi generalizzando: per mandare in malora la cooperativa nata dopo l'incendio e chiudere la sezione comunista, il direttore e il gestore dello spaccio vengono accusati di aver violentato una vecchia e una bambina. Risultato: in quel periodo la gente si guardava bene dal parlare di socialismo e di comunismo, il terrore di essere incriminato per violenza carnale faceva sì che un uomo evitasse di parlare con una donna: arrivarono persino a togliersi il saluto. (p. 98) Quando il gioco si fa sporco, i borghesi cominciano a giocare.
di Vera Barilla
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