RECENSIONI
Vasilij Grossman
L'inferno di Treblinka
Adelphi, Pag. 79 Euro 6,00
L'inferno di Treblinka è la cronaca degli orrori perpetrati nella più orribile fabbrica della morte nazista. Vasilij Grossman, corrispondente di guerra per il quotidiano dell'esercito russo Stella Rossa, attivo sul fronte per più di mille giorni, la pubblicò sulla rivista Znamja nell'autunno del 1944. Per volontà del procuratore militare sovietico, il reportage fu dato in lettura al collegio d'accusa del processo di Norimberga.
L'inferno di Treblinka è la testimonianza a caldo, folgorante e spietata nella sua oggettività, di un incubo: Grossman racconta questo incubo con l'urgenza, dettata dallo sgomento, di capire come sia stata possibile la sua realizzazione. Racconta delle deportazioni forzate di milioni di ebrei; racconta la procedura di disumanizzazione (la requisizione dei documenti; la denudazione; l'ammassamento nei cortili); racconta il rituale di morte nelle camere a gas; racconta di quelle torture praticate "per umorismo" dai nazisti in cui ogni funzionario aveva agio di esibire le proprie competenze (oggi diremmo gli skills): come, per fare un solo esempio, la SS Sepp, "specializzato in bambini. Dotato di una forza erculea, quel mostro pescava un bambino dal gruppo, lo brandiva come una clava e gli sbatteva la testa per terra, oppure gli spezzava la schiena." Sepp, continua Grossman, era "uno dei tanti, normalissimi casi dell'inferno di Treblinka. [...] Le sue azioni erano necessarie, erano quello che ci voleva per annientare la psiche delle vittime, espressione di una crudeltà priva di logica che annichiliva la coscienza e la volontà. Era un ingranaggio utile e necessario all'enorme macchina dello Stato nazista. È giusto inorridire, ma non perché la natura generi simili orchi: il mondo animale ci offre comunque mostruosità d'ogni tipo, [...] A farci orrore è qualcos'altro, ossia che in un determinato Stato tali esseri – casi clinici che andrebbero isolati e studiati dalla psichiatria – vengano ritenuti cittadini attivi e con pieno diritto. La loro ideologia delirante, le patologie della loro psiche, i loro crimini inauditi sono un elemento imprescindibile del nazismo." E il mistero non è certo Hitler, ma chi lo ha sostenuto al potere; chi ha creduto in coscienza a certe idee. Perché non è il caso di ritenere che nei campi di concentramento si ubbidisse e basta a degli ordini: Hitler operava per la sua patria, e per un ideale superiore e migliore di umanità. I suoi gerarchi "avevano tutti qualcosa in comune, e i testimoni lo hanno rivelato: l'amore per le disquisizioni teoriche e filosofiche. Amavano pronunciare discorsi altisonanti di fronte alle loro vittime, vantandosi, illustrando loro l'alto senso e il significato futuro di quanto accadeva a Treblinka." Agivano, insomma, in nome del bene. Ed è questo a renderli, per usare il linguaggio di Grossman, "bestie". Bestie non nel senso naturale della parole, ma bestie da contrapporre all'umano, come negli "uomini e no" di Vittorini.
La cronaca di Treblinka ha un lieto fine: la sconfitta del nazismo. E ha un lieto fine perché la bestia, osserva Grossman, non può sopraffare l'uomo: quegli uomini che il cronista descrive, ancora vivi negli affetti, entrare nelle camere abbracciandosi e proteggendo i bambini; che resistono fino all'ultimo con coraggio e fierezza (Grossman, fra i tanti casi, riporta la testimonianza di un'insurrezione tanto disperata quanto riuscita ). E almeno questa capacità di resistenza, durante lo svolgimento dello scandalo che dura da diecimila anni, la Storia, è quella realtà salda che ha impedito all'uomo di estinguersi.
Certo, la resistenza umana pareva a Grossman avere trionfato del tutto in quei giorni, quando la Russia vinceva la Germania e la dittatura del proletariato era in procinto di cedere il passo al comunismo (il grande morto, lo avrebbe chiamato poi Dovlatov). Grossman componeva la sua grande opera sulla guerra, incentrata sulla battaglia di Stalingrado; dava alle stampe Il popolo è immortale, esaltazione dei sacrifici subiti dall'Unione Sovietica e dello spirito combattivo che il suo popolo dimostrò contro l'invasione tedesca del 1941. Appena nel 1949, però, dovette assistere alla campagna antisemita del regime sovietico. Entrato in dissidio con questo, cadde in disgrazia e le sue opere vennero sequestrate.
Forse anche lo stesso destino individuale di Grossman è esempio dell'invincibilità umana di fronte a quelle astrazione patologiche, e alla loro efficiente realizzazione, in grado di trasformare moltitudini d'uomini in collettività che con l'uomo non hanno nulla a che spartire.
di Pier Paolo Di Mino
L'inferno di Treblinka è la testimonianza a caldo, folgorante e spietata nella sua oggettività, di un incubo: Grossman racconta questo incubo con l'urgenza, dettata dallo sgomento, di capire come sia stata possibile la sua realizzazione. Racconta delle deportazioni forzate di milioni di ebrei; racconta la procedura di disumanizzazione (la requisizione dei documenti; la denudazione; l'ammassamento nei cortili); racconta il rituale di morte nelle camere a gas; racconta di quelle torture praticate "per umorismo" dai nazisti in cui ogni funzionario aveva agio di esibire le proprie competenze (oggi diremmo gli skills): come, per fare un solo esempio, la SS Sepp, "specializzato in bambini. Dotato di una forza erculea, quel mostro pescava un bambino dal gruppo, lo brandiva come una clava e gli sbatteva la testa per terra, oppure gli spezzava la schiena." Sepp, continua Grossman, era "uno dei tanti, normalissimi casi dell'inferno di Treblinka. [...] Le sue azioni erano necessarie, erano quello che ci voleva per annientare la psiche delle vittime, espressione di una crudeltà priva di logica che annichiliva la coscienza e la volontà. Era un ingranaggio utile e necessario all'enorme macchina dello Stato nazista. È giusto inorridire, ma non perché la natura generi simili orchi: il mondo animale ci offre comunque mostruosità d'ogni tipo, [...] A farci orrore è qualcos'altro, ossia che in un determinato Stato tali esseri – casi clinici che andrebbero isolati e studiati dalla psichiatria – vengano ritenuti cittadini attivi e con pieno diritto. La loro ideologia delirante, le patologie della loro psiche, i loro crimini inauditi sono un elemento imprescindibile del nazismo." E il mistero non è certo Hitler, ma chi lo ha sostenuto al potere; chi ha creduto in coscienza a certe idee. Perché non è il caso di ritenere che nei campi di concentramento si ubbidisse e basta a degli ordini: Hitler operava per la sua patria, e per un ideale superiore e migliore di umanità. I suoi gerarchi "avevano tutti qualcosa in comune, e i testimoni lo hanno rivelato: l'amore per le disquisizioni teoriche e filosofiche. Amavano pronunciare discorsi altisonanti di fronte alle loro vittime, vantandosi, illustrando loro l'alto senso e il significato futuro di quanto accadeva a Treblinka." Agivano, insomma, in nome del bene. Ed è questo a renderli, per usare il linguaggio di Grossman, "bestie". Bestie non nel senso naturale della parole, ma bestie da contrapporre all'umano, come negli "uomini e no" di Vittorini.
La cronaca di Treblinka ha un lieto fine: la sconfitta del nazismo. E ha un lieto fine perché la bestia, osserva Grossman, non può sopraffare l'uomo: quegli uomini che il cronista descrive, ancora vivi negli affetti, entrare nelle camere abbracciandosi e proteggendo i bambini; che resistono fino all'ultimo con coraggio e fierezza (Grossman, fra i tanti casi, riporta la testimonianza di un'insurrezione tanto disperata quanto riuscita ). E almeno questa capacità di resistenza, durante lo svolgimento dello scandalo che dura da diecimila anni, la Storia, è quella realtà salda che ha impedito all'uomo di estinguersi.
Certo, la resistenza umana pareva a Grossman avere trionfato del tutto in quei giorni, quando la Russia vinceva la Germania e la dittatura del proletariato era in procinto di cedere il passo al comunismo (il grande morto, lo avrebbe chiamato poi Dovlatov). Grossman componeva la sua grande opera sulla guerra, incentrata sulla battaglia di Stalingrado; dava alle stampe Il popolo è immortale, esaltazione dei sacrifici subiti dall'Unione Sovietica e dello spirito combattivo che il suo popolo dimostrò contro l'invasione tedesca del 1941. Appena nel 1949, però, dovette assistere alla campagna antisemita del regime sovietico. Entrato in dissidio con questo, cadde in disgrazia e le sue opere vennero sequestrate.
Forse anche lo stesso destino individuale di Grossman è esempio dell'invincibilità umana di fronte a quelle astrazione patologiche, e alla loro efficiente realizzazione, in grado di trasformare moltitudini d'uomini in collettività che con l'uomo non hanno nulla a che spartire.
di Pier Paolo Di Mino
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