CINEMA E MUSICA
Magda Lanterna
L’insostenibile logica del martirio: Silence
Si è concesso un lusso non facile, Scorsese, nel mettere in scena il romanzo di Shūsaku Endō (scrittore cristiano giapponese, 1923-1996). Non facile, per il rischio di non riuscire a dar conto della pregnanza del tema, o peggio di far pesare l’ombra di una tesi disegnata su sfondo didascalico. Rischi che ovviamente Scorsese sapeva come sventare. E c’è riuscito. Il film coinvolge come se la storia riguardasse ciascuno di noi, lo fa in modo superbamente drammatico, e rappresenta concettualmente ed emotivamente il senso di ogni punto di vista.
Nello scenario di un Giappone dal paesaggio lussureggiante e selvaggio, spesso avvolto dalle nebbie (Kurosawa non è passato invano) due giovani missionari portoghesi del XVII secolo abbracciano l’impresa impossibile di rintracciare padre Ferreira, loro maestro e mentore, di cui si dice, ma la notizia appare inverosimile, che abbia abiurato la fede cristiana per sfuggire al martirio.
Animati da una visione eroica della fede e perciò pronti a tutto, essi assistono alle persecuzioni a cui sono soggetti i poveri contadini cristiani. Lo stoicismo con cui questa gente semplice affronta i supplizi più crudeli suscita meraviglia, ammirazione, ma anche sgomento. Di fronte a tante grida straziate rimbomba potente il silenzio di Dio. Uno dei due giovani missionari comincia a sentire qualcosa che si incrina nelle sue certezze.
Drammatico è il conflitto tra fede e ragione, non tanto per la diversità degli assunti quanto per il fatto che la fede è per sua natura irragionevole. Su questo si innesta il problema etico: là dove la fede impone il martirio essa entra in contrasto con le ragioni di un’etica che vorrebbe al primo posto la salvezza degli individui e la salvaguardia dal dolore.
In fondo che c’è di male a calpestare un pezzo di legno o di metallo su cui sono raffigurate immagini sacre? Non è anzi doveroso, se da ciò dipende la salvezza di qualcuno? Una pura formalità, così sostiene il Grande Inquisitore.
Ma farlo sarebbe un atto di abiura, ripugnante per chi si è votato alla testimonianza della fede. Un atteggiamento intransigente sarebbe forse facile per il missionario se dovesse sacrificare soltanto la propria vita, ma quello che è intollerabile è che alla sua risposta è subordinata la sorte di tanti innocenti.
È così che funziona l’astuzia del Grande Inquisitore (una straordinaria maschera grottesca), capace di raffinati ricatti. E a pesare sul piatto c’è anche l’essenza della cultura giapponese, per molti aspetti impenetrabile.
Film dai toni forti, in cui ogni dettaglio è intenso e necessario, splendido nella fotografia e nella scenografia curata da Dante Ferretti. Gli attori danno il meglio di sé dal primo all’ultimo (e sono in molti), tanto che si può dire non esistano comparse ma solo interpreti sopraffini.
Regia
Martin Scorsese
Scenografia e costumi
Dante Ferretti
Interpreti principali:
Andrew Garfield: Padre Sebastião Rodrigues
Adam Driver: Padre Francisco Garrpe
Liam Neeson: Padre Cristóvão Ferreira
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