RECENSIONI
Vito di Battista
L’ultima diva dice addio
Società Editrice Milanese, Pag. 213 Euro 15,00
È un romanzo sulla memoria. Sull’impossibilità della memoria e sulle sue infinite risorse. Perché non c’è cosa più contraddittoria: mentre essa si sforza di cercare la verità ne crea una fittizia, e nel tentativo di illuminare il passato ne svela e ne moltiplica le ombre. Chi non impazzisce nel tentativo di ricostruire il passato arriva a godere dell’illuminazione definitiva sulla vera natura della memoria come grande creatrice di realtà.
Ricostruire una vita attraverso le parole raccolte direttamente dalle labbra di chi l’ha vissuta è l’ossessione che pungola il protagonista del romanzo. Parlando in prima persona egli condivide il frutto delle notti trascorse intervistando l’ex attrice Molly Buck. In una Firenze allucinata e densa di memorie, legati da un patto di complicità favorito da un’ostinata insonnia, il giovane e l’anziana s’incontrano notte dopo notte affinché il passato prenda corpo sulla pagina scritta e sfugga alla condanna dell’oblio. Ma come sempre succede, l’osservatore stesso altera la scena, e assumendo il ruolo di spettatore sollecita di fatto l’ultima rappresentazione che l’attrice fa di sé. È lei che calca la mano su certi dettagli, lasciandone altri volutamente nell’ombra.
Vito di Battista trascina il lettore in un gioco raffinato e un po’ perverso, stregandolo con una prosa di rara eleganza. Come in un brano di jazz, l’incipit di ogni capitolo declina le innumerevoli variazioni di uno stesso tema, che ha come oggetto appunto la memoria. È uno dei tanti capricci gustosi ma anche autoreferenziali che l’Autore si diverte a mettere in atto. E intanto i personaggi emergono gradualmente dalla superficie indifferenziata dello sfondo acquistando corpo come un vaso sul tornio, che a ogni giro si definisce di più. O come la spola che va e viene sull’ordito disegnando la trama dell’arazzo. C’è infatti un continuo ritorno sui punti che stanno a cuore al personaggio narrante, e sui quali la diva oppone una larvata resistenza. Su qualche episodio si squarcia a volte improvvisamente il velo, rivelando drammi insospettati. Ma l’osso più duro è la figura misteriosa del Signor Edward, forse l’unico vero amore di Molly Buck, protetto da un pudore ostinato, che il protagonista insegue per tutta la durata del romanzo. Il giovane biografo appare posseduto da un’ossessione, il cui fulcro è il nome di Molly Buck: il “nome” è citato spesso dall’io narrante come fosse l’essenza della persona stessa, come a dire che ciò che non appare e non risuona è destinato a non lasciare traccia. Nel tessere il disegno della vita passata dell’attrice, egli è consapevole del molto di sé che sacrifica: la vita privata, il rapporto con la compagna che non riesce a capire e condividere fino in fondo la sua devozione al progetto, e le infinite vite possibili che il futuro avrebbe in serbo.
Può interessare o meno, la vita di Molly Buck, e può venire anche il sospetto che sia interamente frutto della fantasia del protagonista, complice l’atmosfera onirica e l’ossessione che rasenta la follia. Quello che è certo è che, parola dopo parola, la sua figura esce dall’ombra e prende vita.
Ma Molly Buck non è un’ossessione, Matilda. Le persone che esistono senza lasciare un solco sono un’ossessione: le loro storie perdute, gli sforzi che nessuno celebra e i giorni dimenticati di cent’anni fa sono la mia ossessione. A volte mi sembra di impazzire davvero ma a causa di tutte le cose che ci sarebbe da conoscere (…) In questa valanga di possibilità ho dovuto compiere una scelta e quella scelta è un nome che si porta dietro l’allegoria di una resurrezione.
La vocazione all’eleganza, l’onnipresente tensione estetica e il gusto per l’esercizio di stile rappresentano insieme il pregio e il limite del romanzo.
di Giovanna Repetto
Ricostruire una vita attraverso le parole raccolte direttamente dalle labbra di chi l’ha vissuta è l’ossessione che pungola il protagonista del romanzo. Parlando in prima persona egli condivide il frutto delle notti trascorse intervistando l’ex attrice Molly Buck. In una Firenze allucinata e densa di memorie, legati da un patto di complicità favorito da un’ostinata insonnia, il giovane e l’anziana s’incontrano notte dopo notte affinché il passato prenda corpo sulla pagina scritta e sfugga alla condanna dell’oblio. Ma come sempre succede, l’osservatore stesso altera la scena, e assumendo il ruolo di spettatore sollecita di fatto l’ultima rappresentazione che l’attrice fa di sé. È lei che calca la mano su certi dettagli, lasciandone altri volutamente nell’ombra.
Vito di Battista trascina il lettore in un gioco raffinato e un po’ perverso, stregandolo con una prosa di rara eleganza. Come in un brano di jazz, l’incipit di ogni capitolo declina le innumerevoli variazioni di uno stesso tema, che ha come oggetto appunto la memoria. È uno dei tanti capricci gustosi ma anche autoreferenziali che l’Autore si diverte a mettere in atto. E intanto i personaggi emergono gradualmente dalla superficie indifferenziata dello sfondo acquistando corpo come un vaso sul tornio, che a ogni giro si definisce di più. O come la spola che va e viene sull’ordito disegnando la trama dell’arazzo. C’è infatti un continuo ritorno sui punti che stanno a cuore al personaggio narrante, e sui quali la diva oppone una larvata resistenza. Su qualche episodio si squarcia a volte improvvisamente il velo, rivelando drammi insospettati. Ma l’osso più duro è la figura misteriosa del Signor Edward, forse l’unico vero amore di Molly Buck, protetto da un pudore ostinato, che il protagonista insegue per tutta la durata del romanzo. Il giovane biografo appare posseduto da un’ossessione, il cui fulcro è il nome di Molly Buck: il “nome” è citato spesso dall’io narrante come fosse l’essenza della persona stessa, come a dire che ciò che non appare e non risuona è destinato a non lasciare traccia. Nel tessere il disegno della vita passata dell’attrice, egli è consapevole del molto di sé che sacrifica: la vita privata, il rapporto con la compagna che non riesce a capire e condividere fino in fondo la sua devozione al progetto, e le infinite vite possibili che il futuro avrebbe in serbo.
Può interessare o meno, la vita di Molly Buck, e può venire anche il sospetto che sia interamente frutto della fantasia del protagonista, complice l’atmosfera onirica e l’ossessione che rasenta la follia. Quello che è certo è che, parola dopo parola, la sua figura esce dall’ombra e prende vita.
Ma Molly Buck non è un’ossessione, Matilda. Le persone che esistono senza lasciare un solco sono un’ossessione: le loro storie perdute, gli sforzi che nessuno celebra e i giorni dimenticati di cent’anni fa sono la mia ossessione. A volte mi sembra di impazzire davvero ma a causa di tutte le cose che ci sarebbe da conoscere (…) In questa valanga di possibilità ho dovuto compiere una scelta e quella scelta è un nome che si porta dietro l’allegoria di una resurrezione.
La vocazione all’eleganza, l’onnipresente tensione estetica e il gusto per l’esercizio di stile rappresentano insieme il pregio e il limite del romanzo.
di Giovanna Repetto
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