CLASSICI
Alfredo Ronci
La Sicilia dei poveri: “Racconti siciliani” di Danilo Dolci.
Scrive Danilo Dolci nell’introduzione all’opera: Molti, spesso anche amici e collaboratori, si lamentano di non riuscire ad affrontare le documentazioni da le pubblicate: per la mole, talvolta per le difficoltà di lettura, per il prezzo.
Questo libro, nato soprattutto per loro, comprende alcuni racconti più significativi che ho raccolto dal 1952 al 1960 tra la povera gente di quella parte della Sicilia in cui operiamo, e apparsi in Banditi a Partinico, Inchiesta a Palermo, Spreco. Ho scelto i meglio leggibili badando a non sforbiciare, liricizzando, temendo soprattutto che la scoperta critica, il fondo delle reazioni di chi legge, rischino di dissolversi in godimento estetico: tanto sono espressive, belle direi, alcune di queste voci, nel lumeggiare dal di dentro i loro problemi.
Ora ci sembra quasi normale che Dolci abbia voluto presentare il suo libro con questa precisazione (ma quanta ipocrita delizia nel dire che questa antologia sia stata fatta soprattutto per gli amici e i collaboratori), ma nello stesso tempo ci si chiede come mai un autore come lui si sia preoccupato delle difficoltà di lettura. Ma in che senso? Forse, al di là di certe costruzioni elementari del testo, nell’uso del dialetto? Forse Dolci, troppo preoccupato di trasformare la Sicilia da una regione povera e miserabile ad una più civilmente aggregata, dimenticava che già nel 1955 Pasolini meravigliava la nostra intelligenza (o come avrebbe detto lo stesso Dolci… gli amici e i collaboratori) con Ragazzi di vita e con l’uso del dialetto romanesco che, pur essendo appunto romanesco e quindi nazionale, era sempre un dialetto.
Detto questo e prima di introdurci nel pieno dei racconti, proviamo a dire qualcosa su Danilo Dolci, perché privandoci di certi elementi, forse non operiamo una giusta analisi.
La figura di questo autore e agitatore sociale (è sbagliato definirlo così?) si è consolidata nel tempo all’attenzione dell’opinione pubblica italiana e internazionale, per la sua opera di redenzione delle popolazioni più povere del nostro Mezzogiorno (chissà cosa direbbe della ormai legge sull’autonomia regionale voluta dalla Lega), che non si è esplicata soltanto nell’assistenza sociale, ma è stata anche l’opera di uno studioso, volta a documentare i fenomeni sociali caratteristici di una economia per tanti versi in ritardo con lo sviluppo generale della nazione.
Racconti siciliani è una sorta di storia drammatica di bambini e poi adulti, di pastori, di braccianti ma anche di guaritori, di industriali e di sindacalisti ma è soprattutto un ritratto dolente di un’umanità al limite della sopravvivenza. Dice sempre Danilo Dolci: Abbiamo bisogno di immediate verità, abbiamo bisogno che le persone, le cose, il dolore, i problemi non risolti ci parlino il più direttamente possibile.
E nelle parole di questi “tristi” protagonisti c’è tutto il sapore di una tragedia vissuta momento dopo momento. Come nel caso di un “guardatore” di animali che dice: Per esempio ora nel mese di maggio e in tutta la stagione hanno sempre sete, perché l’erba comincia a indurire. Loro non dicono niente, ma se chi ci combatte non è attento, loro vanno infiacchendo. Mi capisco di più con le vacche, con le pecore, con le capre, che non con i cristiani.
O ancora meglio la voce di un ragazzo… Questa è l’arte mia, per guadagnare il pane; che io a tutti i mestieri mi butto. Da otto anni, finito la seconda elementare, ho vissuto arrangiandomi così alla meglio. Ringraziando a Dio fin oggi non ho avuto mai niente da spartire con la polizia. E il pane che porto alla famiglia è un pane sudato e pulito.
Ma c’è anche la tradizione più “violenta” testimonianza di una cultura per alcuni versi brutale… Per fare contento il marito, una donna deve stare dentro, farci da mangiare, tener la casa pulita, fargli trovare le robe pronte, cucire, farlo… contento, rimanergli sempre la sua. Il padrone è il marito.
Segni di una cultura che purtroppo vediamo anche ai nostri giorni e non certo lontane dalle variegate testimonianze dei protagonisti di Racconti siciliani.
Mi piace concludere questo ritratto con una riflessione che in qualche racchiude tutto il percorso fatto. Parlavamo prima di Pasolini e dell’uso del dialetto. Abbiamo visto che in questa raccolta si fa uno strettissimo uso del dialetto (compreso gli sbagli grammaticali), ma che nel racconto Gino si fa improvvisamente lingua italiana perché il ragazzo nato povero e indifeso alla fine diventa sindacalista del partito comunista.
Come ho detto una riflessione. Ma che certamente vuol dire qualcosa.
L’edizione da noi considerata è:
Danilo Dolci
Racconti siciliani
Einaudi
Questo libro, nato soprattutto per loro, comprende alcuni racconti più significativi che ho raccolto dal 1952 al 1960 tra la povera gente di quella parte della Sicilia in cui operiamo, e apparsi in Banditi a Partinico, Inchiesta a Palermo, Spreco. Ho scelto i meglio leggibili badando a non sforbiciare, liricizzando, temendo soprattutto che la scoperta critica, il fondo delle reazioni di chi legge, rischino di dissolversi in godimento estetico: tanto sono espressive, belle direi, alcune di queste voci, nel lumeggiare dal di dentro i loro problemi.
Ora ci sembra quasi normale che Dolci abbia voluto presentare il suo libro con questa precisazione (ma quanta ipocrita delizia nel dire che questa antologia sia stata fatta soprattutto per gli amici e i collaboratori), ma nello stesso tempo ci si chiede come mai un autore come lui si sia preoccupato delle difficoltà di lettura. Ma in che senso? Forse, al di là di certe costruzioni elementari del testo, nell’uso del dialetto? Forse Dolci, troppo preoccupato di trasformare la Sicilia da una regione povera e miserabile ad una più civilmente aggregata, dimenticava che già nel 1955 Pasolini meravigliava la nostra intelligenza (o come avrebbe detto lo stesso Dolci… gli amici e i collaboratori) con Ragazzi di vita e con l’uso del dialetto romanesco che, pur essendo appunto romanesco e quindi nazionale, era sempre un dialetto.
Detto questo e prima di introdurci nel pieno dei racconti, proviamo a dire qualcosa su Danilo Dolci, perché privandoci di certi elementi, forse non operiamo una giusta analisi.
La figura di questo autore e agitatore sociale (è sbagliato definirlo così?) si è consolidata nel tempo all’attenzione dell’opinione pubblica italiana e internazionale, per la sua opera di redenzione delle popolazioni più povere del nostro Mezzogiorno (chissà cosa direbbe della ormai legge sull’autonomia regionale voluta dalla Lega), che non si è esplicata soltanto nell’assistenza sociale, ma è stata anche l’opera di uno studioso, volta a documentare i fenomeni sociali caratteristici di una economia per tanti versi in ritardo con lo sviluppo generale della nazione.
Racconti siciliani è una sorta di storia drammatica di bambini e poi adulti, di pastori, di braccianti ma anche di guaritori, di industriali e di sindacalisti ma è soprattutto un ritratto dolente di un’umanità al limite della sopravvivenza. Dice sempre Danilo Dolci: Abbiamo bisogno di immediate verità, abbiamo bisogno che le persone, le cose, il dolore, i problemi non risolti ci parlino il più direttamente possibile.
E nelle parole di questi “tristi” protagonisti c’è tutto il sapore di una tragedia vissuta momento dopo momento. Come nel caso di un “guardatore” di animali che dice: Per esempio ora nel mese di maggio e in tutta la stagione hanno sempre sete, perché l’erba comincia a indurire. Loro non dicono niente, ma se chi ci combatte non è attento, loro vanno infiacchendo. Mi capisco di più con le vacche, con le pecore, con le capre, che non con i cristiani.
O ancora meglio la voce di un ragazzo… Questa è l’arte mia, per guadagnare il pane; che io a tutti i mestieri mi butto. Da otto anni, finito la seconda elementare, ho vissuto arrangiandomi così alla meglio. Ringraziando a Dio fin oggi non ho avuto mai niente da spartire con la polizia. E il pane che porto alla famiglia è un pane sudato e pulito.
Ma c’è anche la tradizione più “violenta” testimonianza di una cultura per alcuni versi brutale… Per fare contento il marito, una donna deve stare dentro, farci da mangiare, tener la casa pulita, fargli trovare le robe pronte, cucire, farlo… contento, rimanergli sempre la sua. Il padrone è il marito.
Segni di una cultura che purtroppo vediamo anche ai nostri giorni e non certo lontane dalle variegate testimonianze dei protagonisti di Racconti siciliani.
Mi piace concludere questo ritratto con una riflessione che in qualche racchiude tutto il percorso fatto. Parlavamo prima di Pasolini e dell’uso del dialetto. Abbiamo visto che in questa raccolta si fa uno strettissimo uso del dialetto (compreso gli sbagli grammaticali), ma che nel racconto Gino si fa improvvisamente lingua italiana perché il ragazzo nato povero e indifeso alla fine diventa sindacalista del partito comunista.
Come ho detto una riflessione. Ma che certamente vuol dire qualcosa.
L’edizione da noi considerata è:
Danilo Dolci
Racconti siciliani
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