CLASSICI
Alfredo Ronci
La fantascienza per “cortesia”: “Cancroregina” di Tommaso Landolfi.
Il libro fu terminato alla fine degli anni quaranta, ma trovò l’editore, precisamente Vallecchi, che era l’editore delle opere dello scrittore di Ronciglione, nel luglio del 1950, almeno stando a quanto ci informa la figlia. Fu quasi una sorta di choc.
Nel nostro universo letterario il 1950 era stato di buona, a volte buonissima fattura: avevamo avuto (tanto per citarne qualcuno) lo Jovine de Le terre del Sacramento, c’era stato Domenico Rea con Gesù, fate luce, e c’aveva lasciato Pavese con a luna e i falò. Perché dunque questo terremoto alla lettura di Cancroregina?
Gli anni cinquanta erano il periodo (non solo letterario) del neorealismo: miserie e ricostruzioni delle terre e di noi stessi dopo la seconda guerra mondiale. Ma l’opera di Landolfi ne era fuori, e crediamo non perché si volesse estraniare dalle vicende, ma perché l’opera sua (non era questo il suo esordio letterario) era una sorta di riconciliazione di sé lenta e matura. E lo stile del libro sembrava essere una conseguenza inevitabile. Uno stile che, se vogliamo andare anche oltre (ma questo non determinò la sua appartenenza al genere fantastico, almeno crediamo), assomigliava molto a tutto il periodo di fine ottocento e se vogliamo fare un nome, crediamo a Edgar Allan Poe.
Ecco la trama del libro. Uno scienziato (almeno secondo le conoscenze del relatore e di noi stessi) seduce uno scrittore solitario, e alla fine dei suoi giorni, a lasciare questo mondo. E lo convince affermando di possedere un’astronave (che verrà chiamata poi Cancroregina) in grado di arrivare sulla luna. L’astronave, racchiusa in un antro montagnoso, di rudimentale fattura, è raggiunta da i due dopo percorsi pericolosi e orridi. Dopo brevi conversazioni la partenza è avviata, ma nel corso di questo viaggio vedremo l’uccisione dello scienziato da parte del vecchio e l’autosufficiente decisione dell’astronave di modificare la sua direzione, scegliendo non più la luna ma il giro intorno alla terra. Il vecchio, che non sa governare la navicella, continuerà ad orbitare all’infinito.
Scriveva tempo fa Marcello Carlino: Cancroregina non decide; le dinamiche ipertestuali che vi lavorano a pieno regime consentono tutte le meraviglie della scrittura e possono ammetterla al privilegio dell’irresponsabilità, ma discendono anche, e la motivano storicamente e politicamente, dalla marginalità ormai da riserva indiana della letteratura. (…) Il testo esperisce il vuoto, proprio come la navicella e il suo pilota esitante fra Terra e Luna; e quel vuoto è ebbrezza e dà malessere, è tragedia ed è commedia.
E questa navicella, il fulcro essenziale della storia, è presente sin dall’inizio. Infatti Cancroregina esordisce così: Questi contorti o levigati apparecchi, questi bottoni, queste chiavi, queste leve, questi complicati sistemi, grappoli, fasci, grovigli di elementi d’acciaio, di vetro, di non so cosa; questi quadri queste trasmissioni queste distribuzioni queste spie questi indici questi quadranti; queste articolazioni, questi giunti e snodi; in una parola tutto questo infernale macchinario, brilla crudelmente davanti a me…
Ma in tutto questo, cosa c’è di fantascienza e quanto soprattutto di una forma ben delineata di malessere e tristezza? Crediamo, annotando tutti i pro e i contro della questione, che di fantascienza non ci sia un bel niente. Per carità, certe dinamiche, soprattutto ottocentesche, ci sono, ma manca il passo decisivo dell’intuizione.
Già sento i rimproveri, ma di questi forse potremmo farne a meno quando lo scrittore afferma… il mondo mi appariva senza senso e, per me almeno, senza avvenire: mi preparavo, o almeno avrei voluto prepararmi, a lasciarlo…
Oppure¸ parlando di sentimenti dice: E non si può ad esempio amare follemente una donna, e al tempo stesso riconoscere impossibile ogni e qualsiasi relazione con lei, anche solo una relazione in se stessi, che non la riguardi? Al contrario, si desidera di non amarla, che è il modo più appassionato d’amare; e tuttavia la relazione rimane impossibile, letteralmente impossibile…
Si è detto tutto e di più sulle sorti di questo scrittore (anche sul modo in cui descrive questa sua condizione), ma nulla mi vieta di pensare che al di là di ogni cosa il tentativo di considerare il suicidio sia una delle realtà oggettive da tenere in considerazione. Con lo scienziato che è colui che ingarbuglia l’esperimento e Cancroregina che è il solo modo di affrontare la morte.
Ora comunque che son morto, sento il bisogno di raccontarla questa storia, di raccontarla da principio.
L‘edizione da noi considerata è:
Tommaso Landolfi
Cancroregina
Piccola biblioteca Adelphi
Nel nostro universo letterario il 1950 era stato di buona, a volte buonissima fattura: avevamo avuto (tanto per citarne qualcuno) lo Jovine de Le terre del Sacramento, c’era stato Domenico Rea con Gesù, fate luce, e c’aveva lasciato Pavese con a luna e i falò. Perché dunque questo terremoto alla lettura di Cancroregina?
Gli anni cinquanta erano il periodo (non solo letterario) del neorealismo: miserie e ricostruzioni delle terre e di noi stessi dopo la seconda guerra mondiale. Ma l’opera di Landolfi ne era fuori, e crediamo non perché si volesse estraniare dalle vicende, ma perché l’opera sua (non era questo il suo esordio letterario) era una sorta di riconciliazione di sé lenta e matura. E lo stile del libro sembrava essere una conseguenza inevitabile. Uno stile che, se vogliamo andare anche oltre (ma questo non determinò la sua appartenenza al genere fantastico, almeno crediamo), assomigliava molto a tutto il periodo di fine ottocento e se vogliamo fare un nome, crediamo a Edgar Allan Poe.
Ecco la trama del libro. Uno scienziato (almeno secondo le conoscenze del relatore e di noi stessi) seduce uno scrittore solitario, e alla fine dei suoi giorni, a lasciare questo mondo. E lo convince affermando di possedere un’astronave (che verrà chiamata poi Cancroregina) in grado di arrivare sulla luna. L’astronave, racchiusa in un antro montagnoso, di rudimentale fattura, è raggiunta da i due dopo percorsi pericolosi e orridi. Dopo brevi conversazioni la partenza è avviata, ma nel corso di questo viaggio vedremo l’uccisione dello scienziato da parte del vecchio e l’autosufficiente decisione dell’astronave di modificare la sua direzione, scegliendo non più la luna ma il giro intorno alla terra. Il vecchio, che non sa governare la navicella, continuerà ad orbitare all’infinito.
Scriveva tempo fa Marcello Carlino: Cancroregina non decide; le dinamiche ipertestuali che vi lavorano a pieno regime consentono tutte le meraviglie della scrittura e possono ammetterla al privilegio dell’irresponsabilità, ma discendono anche, e la motivano storicamente e politicamente, dalla marginalità ormai da riserva indiana della letteratura. (…) Il testo esperisce il vuoto, proprio come la navicella e il suo pilota esitante fra Terra e Luna; e quel vuoto è ebbrezza e dà malessere, è tragedia ed è commedia.
E questa navicella, il fulcro essenziale della storia, è presente sin dall’inizio. Infatti Cancroregina esordisce così: Questi contorti o levigati apparecchi, questi bottoni, queste chiavi, queste leve, questi complicati sistemi, grappoli, fasci, grovigli di elementi d’acciaio, di vetro, di non so cosa; questi quadri queste trasmissioni queste distribuzioni queste spie questi indici questi quadranti; queste articolazioni, questi giunti e snodi; in una parola tutto questo infernale macchinario, brilla crudelmente davanti a me…
Ma in tutto questo, cosa c’è di fantascienza e quanto soprattutto di una forma ben delineata di malessere e tristezza? Crediamo, annotando tutti i pro e i contro della questione, che di fantascienza non ci sia un bel niente. Per carità, certe dinamiche, soprattutto ottocentesche, ci sono, ma manca il passo decisivo dell’intuizione.
Già sento i rimproveri, ma di questi forse potremmo farne a meno quando lo scrittore afferma… il mondo mi appariva senza senso e, per me almeno, senza avvenire: mi preparavo, o almeno avrei voluto prepararmi, a lasciarlo…
Oppure¸ parlando di sentimenti dice: E non si può ad esempio amare follemente una donna, e al tempo stesso riconoscere impossibile ogni e qualsiasi relazione con lei, anche solo una relazione in se stessi, che non la riguardi? Al contrario, si desidera di non amarla, che è il modo più appassionato d’amare; e tuttavia la relazione rimane impossibile, letteralmente impossibile…
Si è detto tutto e di più sulle sorti di questo scrittore (anche sul modo in cui descrive questa sua condizione), ma nulla mi vieta di pensare che al di là di ogni cosa il tentativo di considerare il suicidio sia una delle realtà oggettive da tenere in considerazione. Con lo scienziato che è colui che ingarbuglia l’esperimento e Cancroregina che è il solo modo di affrontare la morte.
Ora comunque che son morto, sento il bisogno di raccontarla questa storia, di raccontarla da principio.
L‘edizione da noi considerata è:
Tommaso Landolfi
Cancroregina
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