CLASSICI
Alfredo Ronci
La finta vacanza: “L’incompleto” di Francesco Leonetti.
A volte capita che, senza che nessuno chieda o indaghi, veniamo a conoscenza di cose e di persone che, nel bene e nel male, costituiscono parte della nostra conoscenza quotidiana.
Tanto per fare un esempio: giorni fa ha beccato per caso un autore, anzi, uno scrittore che ho sempre seguito ma di cui non mi sono mai interessato (ma capiterà): Domenico Starnone. L’occasione era un ritratto che costui faceva di un altro scrittore (di cui invece ci siamo interessati) e di un libro in particolare (di cui ci siamo interessati): Luigi Meneghello e il suo Libera nos a malo.
Dunque, al di là di certe squisitezze che lo Starnone dedicava al suo collega e al di là della questione, crediamo tutta italiana, dell’uso del dialetto in alcuni romanzi di un certo spessore (a cominciare da Pasolini), quello che più mi ha interessato è stato un giudizio che lo stesso ha emanato nei confronti dei primi anni sessanta e soprattutto del movimento Gruppo 63. Nel senso che a questi ultimi si attribuiva letterariamente il passaggio dalla terza persona alla prima. Cioè a dire che tutto si faceva più intimo ma anche più emotivamente e politicamente più doloroso.
Falso. Per carità, non stiamo dando del “pezzente” a Starnone, anche perché la sua tesi è ancora oggi verificabile, ma attribuire un concetto così delicato a tutto un movimento, ma non solo a un movimento, letterario ci sembra francamente un azzardo.
Dico questo perché, leggendo il libro in questione, mi si è presentato agli occhi la diatriba: cioè quella dell’uso della prima e della terza persona. Vediamo di che si tratta.
Dice lo stesso Leonetti che il libro, uscito nel 1964, non ottenne il successo che ci si attendeva (a dirla in parole povere non vendette un fico secco), cosa che invece avvenne in Francia, soprattutto in concomitanza con l’esplosione del ’68. Ma come poi lo stesso libro è assurto ai fasti della nostra letteratura tanto che lo stesso Leonetti ne ha rifatta una versione nuova (che è anche quella che noi abbiamo letto e qui presentata) e ha anche ribadito alcuni concetti e modificato altri?
Diciamo che comunque il successo del Gruppo 63 è rimasto quasi intatto nel corso del tempo per via di una solidità strutturale che gli ha permesso almeno di valicare certi decenni, ma soprattutto perché lo stesso Leonetti, a distanza di dieci anni dalla precedente pubblicazione del libro, ha corretto alcuni concetti e non soltanto da un punto di vista letterario. Dice a fondo del romanzo nelle note di spiegazione: Aggiungo ora che l’oscillazione – nel testo del ’64 – fra terza e prima persona mi è parsa non caratteristica o non necessaria della struttura, che è già innovata in tutti i suoi nessi, con uno straniamento d’effetto scintillante. Il testo è ora “oggettivato”.
Di cosa parla L’incompleto (tanto per darci dei mezzi di comprensione che in realtà servono a poco)? Diciamo che evidenzia i motivi e le sorprese d’un viaggio in montagna – in coincidenza di un fine anno – da parte di una coppia caratteristica di quegli anni, un intellettuale di sinistra con la sua compagna. Rapporti movimentati, incontri e dialoghi fra amici. Dicono bene le note di quarta pagina: “Il romanzo si può anche leggere così, semplicemente. Ma la struttura sofisticata del testo stimola il lettore più attento a trovarvi ben altro”.
Vorremmo tranquillizzare il lettore più attento: non crediate chissà cosa a pensare di trovarvi ben altro. In realtà ci troviamo di fronte, per lo più, ad un uomo profondamente di sinistra che man mano trova spunto per criticare o quanto meno proporre questioni che sono all’ordine del giorno di quel periodo storico e in più le solite diatribe di sinistra accompagnate da elenchi di libri che non dovrebbero mancare nelle nostre case (vedere, parzialmente, l'elenco a pagina 75).
Ma il tutto, come dice ancora il Leonetti nella fasi conclusive, raccolse la stima e gli elogi di gran parte della nostra intelligenza: pareri positivi di Spinella, di Barilli, di Del Buono, di Pedullà, di Miccini e soprattutto di uno studioso che spesso nominiamo, Barberi Squarotti che, in un suo libro dedicato alla letteratura degli anni sessanta disse: … e ne L’Incompleto (1964) ha dato la misura più acuta della pluralità prospettica del suo discorso, scrivendo con lucida acutezza uno dei testi più complessi e nuovi di questi anni.
Dice bene Squarotti… testi più complessi e nuovi di questi anni, già ma degli anni in cui la Storia in qualche modo veniva strangolata e i personaggi con essa. Certo, tracce ne sono rimaste, ma sono abbastanza per dichiarare essenziale un testo che a noi, forse, non appare più?
L’edizione da noi considerata è:
Francesco Leonetti
L’incompleto
Einaudi
Tanto per fare un esempio: giorni fa ha beccato per caso un autore, anzi, uno scrittore che ho sempre seguito ma di cui non mi sono mai interessato (ma capiterà): Domenico Starnone. L’occasione era un ritratto che costui faceva di un altro scrittore (di cui invece ci siamo interessati) e di un libro in particolare (di cui ci siamo interessati): Luigi Meneghello e il suo Libera nos a malo.
Dunque, al di là di certe squisitezze che lo Starnone dedicava al suo collega e al di là della questione, crediamo tutta italiana, dell’uso del dialetto in alcuni romanzi di un certo spessore (a cominciare da Pasolini), quello che più mi ha interessato è stato un giudizio che lo stesso ha emanato nei confronti dei primi anni sessanta e soprattutto del movimento Gruppo 63. Nel senso che a questi ultimi si attribuiva letterariamente il passaggio dalla terza persona alla prima. Cioè a dire che tutto si faceva più intimo ma anche più emotivamente e politicamente più doloroso.
Falso. Per carità, non stiamo dando del “pezzente” a Starnone, anche perché la sua tesi è ancora oggi verificabile, ma attribuire un concetto così delicato a tutto un movimento, ma non solo a un movimento, letterario ci sembra francamente un azzardo.
Dico questo perché, leggendo il libro in questione, mi si è presentato agli occhi la diatriba: cioè quella dell’uso della prima e della terza persona. Vediamo di che si tratta.
Dice lo stesso Leonetti che il libro, uscito nel 1964, non ottenne il successo che ci si attendeva (a dirla in parole povere non vendette un fico secco), cosa che invece avvenne in Francia, soprattutto in concomitanza con l’esplosione del ’68. Ma come poi lo stesso libro è assurto ai fasti della nostra letteratura tanto che lo stesso Leonetti ne ha rifatta una versione nuova (che è anche quella che noi abbiamo letto e qui presentata) e ha anche ribadito alcuni concetti e modificato altri?
Diciamo che comunque il successo del Gruppo 63 è rimasto quasi intatto nel corso del tempo per via di una solidità strutturale che gli ha permesso almeno di valicare certi decenni, ma soprattutto perché lo stesso Leonetti, a distanza di dieci anni dalla precedente pubblicazione del libro, ha corretto alcuni concetti e non soltanto da un punto di vista letterario. Dice a fondo del romanzo nelle note di spiegazione: Aggiungo ora che l’oscillazione – nel testo del ’64 – fra terza e prima persona mi è parsa non caratteristica o non necessaria della struttura, che è già innovata in tutti i suoi nessi, con uno straniamento d’effetto scintillante. Il testo è ora “oggettivato”.
Di cosa parla L’incompleto (tanto per darci dei mezzi di comprensione che in realtà servono a poco)? Diciamo che evidenzia i motivi e le sorprese d’un viaggio in montagna – in coincidenza di un fine anno – da parte di una coppia caratteristica di quegli anni, un intellettuale di sinistra con la sua compagna. Rapporti movimentati, incontri e dialoghi fra amici. Dicono bene le note di quarta pagina: “Il romanzo si può anche leggere così, semplicemente. Ma la struttura sofisticata del testo stimola il lettore più attento a trovarvi ben altro”.
Vorremmo tranquillizzare il lettore più attento: non crediate chissà cosa a pensare di trovarvi ben altro. In realtà ci troviamo di fronte, per lo più, ad un uomo profondamente di sinistra che man mano trova spunto per criticare o quanto meno proporre questioni che sono all’ordine del giorno di quel periodo storico e in più le solite diatribe di sinistra accompagnate da elenchi di libri che non dovrebbero mancare nelle nostre case (vedere, parzialmente, l'elenco a pagina 75).
Ma il tutto, come dice ancora il Leonetti nella fasi conclusive, raccolse la stima e gli elogi di gran parte della nostra intelligenza: pareri positivi di Spinella, di Barilli, di Del Buono, di Pedullà, di Miccini e soprattutto di uno studioso che spesso nominiamo, Barberi Squarotti che, in un suo libro dedicato alla letteratura degli anni sessanta disse: … e ne L’Incompleto (1964) ha dato la misura più acuta della pluralità prospettica del suo discorso, scrivendo con lucida acutezza uno dei testi più complessi e nuovi di questi anni.
Dice bene Squarotti… testi più complessi e nuovi di questi anni, già ma degli anni in cui la Storia in qualche modo veniva strangolata e i personaggi con essa. Certo, tracce ne sono rimaste, ma sono abbastanza per dichiarare essenziale un testo che a noi, forse, non appare più?
L’edizione da noi considerata è:
Francesco Leonetti
L’incompleto
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