RECENSIONI
Claudio Cerasa
La presa di Roma
Bur, Pag.218 Euro 9,80
28 aprile 2008. E' il giorno della vittoria di Alemanno a sindaco di Roma. Finiscono quindici anni di 'strapotere rosso', inizia una fase nuova lontana dal duo Rutelli-Veltroni (davvero?). Soprattutto lontana dall'altro duo bipartisan-trasversale che, secondo Claudio Cerasa, ha dominato Roma nell'ombra: Goffredo Bettini-Gianni Letta (rispettivamente Pd, Pd meno L). Il perché di questo cambiamento epocale, l'autore, che è redattore capo del quotidiano Il Foglio, lo sintetizza in due passaggi: il suicidio politico del centro-sinistra su una questione che a Roma scotta come un vulcano, le periferie; la disattenzione (volontaria o meno) a un problema cruciale per una grande metropoli quale Roma di fatto è diventata: la sicurezza.
La presa di Roma è un libro fondamentale per capire le dinamiche che hanno animato (e ancora animano) le stanze (anzi i circoli) del potere capitolino. Si fa luce su molte questioni che per i poveri sudditi dell'ex Caput Mundi sono rimaste a lungo inspiegabili. Ad esempio, lo sconvolgente (e, aggiungo io, sciagurato) patto di non belligeranza fra amministrazioni rutelveltroniane e imprenditori, in particolare palazzinari, siglata nel 1997 con i due dispensatori supremi di cemento, il 'cattivo' Caltagirone, il 'buono' Toti. Si fa luce sulla fine del Modello Roma; quello fatto da una pax inclusiva in cui tutte le parti che contano (imprenditori, banchieri, politici, prelati, guitti di ogni risma) avevano un ruolo e una porzione di potere da gestire. Si fa intendere che nella città eterna non è possibile governare senza tener conto dello Stato internazionale amico che consta di 800 abitanti circa e le cui mura confinano con i quartieri Borgo Pio e Prati; quello Stato del Vaticano per cui tutti i sindaci, colorati o neri, hanno avuto, stanno avendo e avranno più di un occhio di riguardo (leggere l'incredibile storia del flirt fra Alemanno e l'Opera Pellegrinaggi, e le agevolazioni fiscali, e di introiti regalo, che questa entità ha avuto dai contratti col Comune). Si sottolinea come nessun sindaco, rosso o nero, si sia prodigato più di tanto per far risaltare l'immagine di Roma come capitale laica, anzi; tutti (Rutelli in versione ecumenica in testa) si sono spesi per ignorare simboli e fatti legati al Risorgimento romano (l'esempio dei busti garibaldini rubati al Gianicolo è emblematico) a discapito di una immagine, aggiungo sempre io, mielosa e patetica, della capitale della cristianità. Si mette l'accento sul fatto che in questa malandata città, l'informazione è in mano a pochi 'mecenati' che la gestiscono come vogliono; che i conflitti di interesse di Gaetano Caltagirone (probabilmente l'uomo più potente di Roma - e la questione Acea descritta nel libro dovrebbe far venire i brividi a qualsiasi cittadino di media intelligenza), fanno impallidire quelli di re Silvio e che, nemmeno troppo velatamente, Lupomanno (il nome che il sindaco aveva nella sua gioventù da militante nero) ne sia una sua emanazione ologrammatica (l'aggettivo è sempre mio).
Ce n'è tanto di materiale in questo libro. C'è anche la questione nomine, lo spoil system che Alemanno diceva di non voler attuare e che invece una volta preso il potere ha messo in pratica: via tutti i manager legati ai 'rossi' (l'epurazione più forte è avvenuta per l'organizzazione della Festa del Cinema), spazio ai nuovi 'camerati' (pure se con fedine penali un po' così) incamminati ormai sulla via di una droite liberal très chic e attenta all'etico-solidale, alle nuove lobby spiaggiate sulle sponde del Tevere (sempre i famosi Circoli) e con la memoria rivolta al ricordo di quando molti erano la Destra Sociale.
Già, la Destra Sociale. Interessante il capitolo su Casa Pound e il Blocco Studentesco. Forse gli unici veri sognatori di questa destra rivoluzionaria trattata da Lupomanno con bastone e carota. Che bravi quando propongono il Mutuo Sociale e ridefiniscono in modo liberty la palazzina che occupano a via Napoleone III. Non sia mai si presentino, però, alla fiaccolata contro il razzismo e l'omofobia (a cui avevano aderito), tuona il sindaco della nuova droite liberal!
Stupenda e misera città, diceva un poeta ammazzato di botte a Ostia...
di Adriano Angelini
La presa di Roma è un libro fondamentale per capire le dinamiche che hanno animato (e ancora animano) le stanze (anzi i circoli) del potere capitolino. Si fa luce su molte questioni che per i poveri sudditi dell'ex Caput Mundi sono rimaste a lungo inspiegabili. Ad esempio, lo sconvolgente (e, aggiungo io, sciagurato) patto di non belligeranza fra amministrazioni rutelveltroniane e imprenditori, in particolare palazzinari, siglata nel 1997 con i due dispensatori supremi di cemento, il 'cattivo' Caltagirone, il 'buono' Toti. Si fa luce sulla fine del Modello Roma; quello fatto da una pax inclusiva in cui tutte le parti che contano (imprenditori, banchieri, politici, prelati, guitti di ogni risma) avevano un ruolo e una porzione di potere da gestire. Si fa intendere che nella città eterna non è possibile governare senza tener conto dello Stato internazionale amico che consta di 800 abitanti circa e le cui mura confinano con i quartieri Borgo Pio e Prati; quello Stato del Vaticano per cui tutti i sindaci, colorati o neri, hanno avuto, stanno avendo e avranno più di un occhio di riguardo (leggere l'incredibile storia del flirt fra Alemanno e l'Opera Pellegrinaggi, e le agevolazioni fiscali, e di introiti regalo, che questa entità ha avuto dai contratti col Comune). Si sottolinea come nessun sindaco, rosso o nero, si sia prodigato più di tanto per far risaltare l'immagine di Roma come capitale laica, anzi; tutti (Rutelli in versione ecumenica in testa) si sono spesi per ignorare simboli e fatti legati al Risorgimento romano (l'esempio dei busti garibaldini rubati al Gianicolo è emblematico) a discapito di una immagine, aggiungo sempre io, mielosa e patetica, della capitale della cristianità. Si mette l'accento sul fatto che in questa malandata città, l'informazione è in mano a pochi 'mecenati' che la gestiscono come vogliono; che i conflitti di interesse di Gaetano Caltagirone (probabilmente l'uomo più potente di Roma - e la questione Acea descritta nel libro dovrebbe far venire i brividi a qualsiasi cittadino di media intelligenza), fanno impallidire quelli di re Silvio e che, nemmeno troppo velatamente, Lupomanno (il nome che il sindaco aveva nella sua gioventù da militante nero) ne sia una sua emanazione ologrammatica (l'aggettivo è sempre mio).
Ce n'è tanto di materiale in questo libro. C'è anche la questione nomine, lo spoil system che Alemanno diceva di non voler attuare e che invece una volta preso il potere ha messo in pratica: via tutti i manager legati ai 'rossi' (l'epurazione più forte è avvenuta per l'organizzazione della Festa del Cinema), spazio ai nuovi 'camerati' (pure se con fedine penali un po' così) incamminati ormai sulla via di una droite liberal très chic e attenta all'etico-solidale, alle nuove lobby spiaggiate sulle sponde del Tevere (sempre i famosi Circoli) e con la memoria rivolta al ricordo di quando molti erano la Destra Sociale.
Già, la Destra Sociale. Interessante il capitolo su Casa Pound e il Blocco Studentesco. Forse gli unici veri sognatori di questa destra rivoluzionaria trattata da Lupomanno con bastone e carota. Che bravi quando propongono il Mutuo Sociale e ridefiniscono in modo liberty la palazzina che occupano a via Napoleone III. Non sia mai si presentino, però, alla fiaccolata contro il razzismo e l'omofobia (a cui avevano aderito), tuona il sindaco della nuova droite liberal!
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