RACCONTI
Dominique Campete
Lara
Arriva davanti alla porta, esita qualche secondo con le chiavi in mano e torna a specchiarsi: controlla che il rossetto non sia sbavato e che il tocco di matita sulle sopracciglia non le appesantisca lo sguardo. Prova un sorriso, lo cambia, mette su una faccia seria.
Accosta una sedia allo specchio e si siede di lato, accavallando le gambe: la fascia che si è messa per contenere la pancia le tira strappandole una smorfia di dolore. Si rialza, appoggia la sedia al muro e infila la porta. Non vuole incontrare nessuna superficie riflettente almeno per i prossimi trenta minuti.
Esce in strada, il sole la sorprende senza occhiali e con lenti di un colore qualche tono più chiaro dei suoi occhi. Controlla lo schermo del cellulare, mancano esattamente un’ora e ventisette minuti all’incontro, ha tempo per un caffè e un giro nel negozio vintage che si trova a due passi dal bar dove hanno appuntamento.
Il locale dove incontrarsi lo ha scelto lui, l’orario lei, le è sembrato un buon compromesso. Gli ha proposto di vedersi alle sei, orario strategico che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe allungarsi fino alla cena o, nel caso l’incontro sia un flop, lasciare spazio ad una giustificazione qualsiasi per filarsela.
Mentre cammina comincia a ripassare le informazioni che ha su di lui: il suo nickname è Lorenzo73, che sembra un po’ il titolo di uno degli infiniti album di Jovanotti, ma le è sembrato molto meglio di altri patetici pseudonimi, come cuoresolitario, solesplendente o animabella. A dire il vero, ha preventivamente fatto fuori anche tutti quelli che pensavano di poterla stupire con il nome di un supereroe, di improbabili dèi greci o santoni indiani. Lei, invece, si è iscritta come Lara, che non è certo il suo nome di battesimo, ma quello che avrebbe sempre voluto avere.
Arriva al bar “Orchidea”, si siede nel primo tavolino al sole, Irma le arriva alle spalle.
“Lara, che schianto sei oggi, ma dove vai così in tiro?”
Non riesce a prenderlo come un complimento. “Troppo in tiro?” chiede.
“Ma che troppo, sei stu pen da” dice la cameriera appoggiandole le mani sulle spalle e un bacio sulla testa. “Cosa ti porto?”
“Un caffè ristretto”.
Irma si allontana portandosi dietro la sua voce, sempre qualche decibel al di sopra del limite accettabile, e il profumo al ciclamino talmente forte che pizzica la gola. Lara estrae uno specchietto dalla borsa di cuoio e si raggiusta i capelli, poi lo abbassa fino alla zona della bocca e del mento: la depilazione al laser non ha funzionato perfettamente, nonostante le entusiastiche promesse della sua estetista di fiducia.
Cos’altro sa di lui? Scrive di essere un programmatore di software e applicativi web, lei ha detto alle sue amiche che si vedrà con uno che aggiusta i computer, le sembra molto più credibile. Dice che ama la montagna, i film di avventura e i romanzi storici. Potrebbe essere tutto vero o assolutamente falso. In realtà, della sua profusa descrizione, c’era solo una cosa che l’aveva colpita: fuma la pipa. Immediatamente se l’era immaginato ad aspettare che la pipa si accendesse, mentre la guardava in silenzio e lei si vedeva obbligata ad abbassare lo sguardo, imbarazzata. Aveva anche pensato che uno che fuma la pipa deve fare benissimo l’amore, perché dotato di autocontrollo e fiducia in sé.
L’arrivo di Irma la sorprende al centro di questi pensieri. Lara arrossisce, come se l’altra potesse leggerglieli sulla faccia.
“Allora, non mi dici niente?” chiede la cameriera strizzandole un occhio.
“Per scaramanzia preferisco aspettare” dice, portando la tazzina alle labbra. È una balla grande come una casa, non è né scaramantica, né superstiziosa: la verità è che non che non le va di parlarne con Irma. Astutamente si mette a fissare un punto alle spalle della cameriera, quella si volta, vede arrivare due clienti. “Perdonami tesoro, devo proprio andare”.
Lara finisce in fretta il caffè, posa la tazzina sul tavolino, si sofferma per qualche secondo ad osservare le sue mani: sospira rilevandone la poca eleganza e l’eccessiva vigorosità. Lascia le monete sul tavolo, saluta Irma soffiandole un bacio e riprende il cammino.
E lei cosa gli ha raccontato di sé? Si è definita “libera professionista” quando in realtà al momento è disoccupata, però è una bugia per metà: sa che quando riprenderà a lavorare non avrà più un capo, un padrone o qualcuno che possa controllarla. Rispetto agli hobby e alle passioni ha scritto solo “Te lo racconto a voce”, per creare un po’ di mistero e uscire dalla banalità comune.
Arriva al negozio vintage, la vetrina è ormai a tema estivo: parei, costumi, prendisole, occhialoni di varie forme e colori. Entra, la commessa le sorride dal bancone e fa per raggiungerla.
“Do solo un’occhiata” si affretta a dire Lara.
Si avvicina al carrello dei vestiti e, mentre li fa scorrere sulla barra di metallo come fossero le pagine di una rivista scandalistica nella sala d’aspetto del dentista, passa mentalmente in rassegna le foto che si sono scambiati: di lui ne ha una abbracciato al suo labrador al parco, una mentre arrampica con imbragatura e casco, e un’ultima, la peggiore, scattata in discoteca durante una festa. Dalle foto si evince che ha un gran bel fisico, ma Lara ha apprezzato il fatto che non abbia cercato di ostentarlo: nessuna foto in costume, a dorso nudo o con magliette da scoppiarci dentro.
Lei, invece, gli ha inviato solo una fotografia, prima di tutto perché non ne aveva di recenti e le sembrava eccessivo farsele apposta e poi perché non c’è una sola foto in cui si piaccia; alla fine, ha optato per un’immagine di profilo e a mezzo busto, con un cappello color crema dalle falde larghe. Ok, potrebbe essere lei o chiunque altra, non si distinguono né il colore degli occhi, né la forma della bocca, per non parlare dei denti o delle gambe. Ma non vuole che sia una foto a darle o negarle la possibilità di conoscere un uomo, sa bene che quasi nessuno legge la descrizione del profilo nelle chat che frequenta. È la foto che decide tutto.
“Se non trova la sua taglia, la aiuto a cercarla” dice la commessa giungendole alle spalle.
Lara sobbalza e, mentre si sta chiedendo perché mai dovrebbe essere così difficile riconoscere la propria misura scritta su una etichetta, tira fuori il primo vestito taglia 44 che le capita sotto mano: è brutto, anzi orribile, non lo indosserebbe mai, ma vuole scrollarsi di dosso quella arpia tutta denti e tecniche di vendita.
“Provo questo” dice risoluta.
Si dirige verso i camerini, da quello delle donne esce una signora di mezza età con uno spolverino beige che le pende da un braccio. Quando si incrociano, la signora la guarda dall’alto in basso, esitando qualche secondo di troppo davanti alla porta del camerino, come se non si aspettasse che anche Lara voglia entrare lì. Poi, davanti al suo incedere, si sposta con gesto eccessivo per lasciarla passare e le sorride con imbarazzo. “Mi scusi” dice abbassando lo sguardo.
Lara vorrebbe chiederle per che cosa si stia scusando, forse la signora teme che certi pensieri possano avere un colore o un odore sgradevoli che l’altro è in grado di percepire in tempo reale. Si infila nello spogliatoio e tira con forza la tenda pesante e troppo corta. Si appoggia alla parete col vestito in mano e una sensazione di oppressione al petto.
Non avrebbe dovuto accettare questo appuntamento al buio, non può funzionare, non è in questo modo che può conquistare un uomo. Deve avere il coraggio di farsi vedere subito in carne ed ossa, senza la protezione di uno schermo e mille battute ironiche ed inutili che le riescono fin troppo bene. Manda giù a vuoto, alza lo sguardo al soffitto, respira profondo. E se non andasse?
“Come va il vestito?” chiede la commessa ferma a pochi passi dalla tenda. Lara esce all’istante, non finge neanche di averlo provato, glielo deposita in mano e si dirige verso l’uscita.
Ora mancano solo sei minuti all’appuntamento, ancora non ha pensato a come presentarsi: meglio stringergli la mano dicendo “Piacere, Lara” o sorridergli, aspettando che sia lui a dire qualcosa?
Attraversa la strada, gira a sinistra e si ritrova sulla piazza dove c’è il bar “Smeraldo”, quello dell’incontro. Il cuore le batte nella gola e nelle tempie, sistema la giacca e abbassa la gonna.
Lorenzo73 è già lì, in piedi davanti all’ingresso del bar, lo sguardo che si sposta con lentezza sui quattro angoli della piazza per cercarla. I loro sguardi si incrociano, anche lui sembra riconoscerla, abbozza un sorriso.
Non più di venti metri li separano: Lara sa che saranno i più complicati, quelli che le faranno capire se Lorenzo73 sia disposto ad accettare che Lara, quella della chat, e Luca, lo sconosciuto che gli sta di fronte, siano la stessa persona. Forse si arrabbierà, si sentirà ingannato o offeso, magari la colpirà con violenza. Ma non le importa: questo è il primo vero gesto che si concede come Lara, il suo primo tentativo di giocare quella parte femminile che spinge per venire fuori. Accelera il passo, allarga il sorriso, lo fissa negli occhi con intensità.
Accosta una sedia allo specchio e si siede di lato, accavallando le gambe: la fascia che si è messa per contenere la pancia le tira strappandole una smorfia di dolore. Si rialza, appoggia la sedia al muro e infila la porta. Non vuole incontrare nessuna superficie riflettente almeno per i prossimi trenta minuti.
Esce in strada, il sole la sorprende senza occhiali e con lenti di un colore qualche tono più chiaro dei suoi occhi. Controlla lo schermo del cellulare, mancano esattamente un’ora e ventisette minuti all’incontro, ha tempo per un caffè e un giro nel negozio vintage che si trova a due passi dal bar dove hanno appuntamento.
Il locale dove incontrarsi lo ha scelto lui, l’orario lei, le è sembrato un buon compromesso. Gli ha proposto di vedersi alle sei, orario strategico che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe allungarsi fino alla cena o, nel caso l’incontro sia un flop, lasciare spazio ad una giustificazione qualsiasi per filarsela.
Mentre cammina comincia a ripassare le informazioni che ha su di lui: il suo nickname è Lorenzo73, che sembra un po’ il titolo di uno degli infiniti album di Jovanotti, ma le è sembrato molto meglio di altri patetici pseudonimi, come cuoresolitario, solesplendente o animabella. A dire il vero, ha preventivamente fatto fuori anche tutti quelli che pensavano di poterla stupire con il nome di un supereroe, di improbabili dèi greci o santoni indiani. Lei, invece, si è iscritta come Lara, che non è certo il suo nome di battesimo, ma quello che avrebbe sempre voluto avere.
Arriva al bar “Orchidea”, si siede nel primo tavolino al sole, Irma le arriva alle spalle.
“Lara, che schianto sei oggi, ma dove vai così in tiro?”
Non riesce a prenderlo come un complimento. “Troppo in tiro?” chiede.
“Ma che troppo, sei stu pen da” dice la cameriera appoggiandole le mani sulle spalle e un bacio sulla testa. “Cosa ti porto?”
“Un caffè ristretto”.
Irma si allontana portandosi dietro la sua voce, sempre qualche decibel al di sopra del limite accettabile, e il profumo al ciclamino talmente forte che pizzica la gola. Lara estrae uno specchietto dalla borsa di cuoio e si raggiusta i capelli, poi lo abbassa fino alla zona della bocca e del mento: la depilazione al laser non ha funzionato perfettamente, nonostante le entusiastiche promesse della sua estetista di fiducia.
Cos’altro sa di lui? Scrive di essere un programmatore di software e applicativi web, lei ha detto alle sue amiche che si vedrà con uno che aggiusta i computer, le sembra molto più credibile. Dice che ama la montagna, i film di avventura e i romanzi storici. Potrebbe essere tutto vero o assolutamente falso. In realtà, della sua profusa descrizione, c’era solo una cosa che l’aveva colpita: fuma la pipa. Immediatamente se l’era immaginato ad aspettare che la pipa si accendesse, mentre la guardava in silenzio e lei si vedeva obbligata ad abbassare lo sguardo, imbarazzata. Aveva anche pensato che uno che fuma la pipa deve fare benissimo l’amore, perché dotato di autocontrollo e fiducia in sé.
L’arrivo di Irma la sorprende al centro di questi pensieri. Lara arrossisce, come se l’altra potesse leggerglieli sulla faccia.
“Allora, non mi dici niente?” chiede la cameriera strizzandole un occhio.
“Per scaramanzia preferisco aspettare” dice, portando la tazzina alle labbra. È una balla grande come una casa, non è né scaramantica, né superstiziosa: la verità è che non che non le va di parlarne con Irma. Astutamente si mette a fissare un punto alle spalle della cameriera, quella si volta, vede arrivare due clienti. “Perdonami tesoro, devo proprio andare”.
Lara finisce in fretta il caffè, posa la tazzina sul tavolino, si sofferma per qualche secondo ad osservare le sue mani: sospira rilevandone la poca eleganza e l’eccessiva vigorosità. Lascia le monete sul tavolo, saluta Irma soffiandole un bacio e riprende il cammino.
E lei cosa gli ha raccontato di sé? Si è definita “libera professionista” quando in realtà al momento è disoccupata, però è una bugia per metà: sa che quando riprenderà a lavorare non avrà più un capo, un padrone o qualcuno che possa controllarla. Rispetto agli hobby e alle passioni ha scritto solo “Te lo racconto a voce”, per creare un po’ di mistero e uscire dalla banalità comune.
Arriva al negozio vintage, la vetrina è ormai a tema estivo: parei, costumi, prendisole, occhialoni di varie forme e colori. Entra, la commessa le sorride dal bancone e fa per raggiungerla.
“Do solo un’occhiata” si affretta a dire Lara.
Si avvicina al carrello dei vestiti e, mentre li fa scorrere sulla barra di metallo come fossero le pagine di una rivista scandalistica nella sala d’aspetto del dentista, passa mentalmente in rassegna le foto che si sono scambiati: di lui ne ha una abbracciato al suo labrador al parco, una mentre arrampica con imbragatura e casco, e un’ultima, la peggiore, scattata in discoteca durante una festa. Dalle foto si evince che ha un gran bel fisico, ma Lara ha apprezzato il fatto che non abbia cercato di ostentarlo: nessuna foto in costume, a dorso nudo o con magliette da scoppiarci dentro.
Lei, invece, gli ha inviato solo una fotografia, prima di tutto perché non ne aveva di recenti e le sembrava eccessivo farsele apposta e poi perché non c’è una sola foto in cui si piaccia; alla fine, ha optato per un’immagine di profilo e a mezzo busto, con un cappello color crema dalle falde larghe. Ok, potrebbe essere lei o chiunque altra, non si distinguono né il colore degli occhi, né la forma della bocca, per non parlare dei denti o delle gambe. Ma non vuole che sia una foto a darle o negarle la possibilità di conoscere un uomo, sa bene che quasi nessuno legge la descrizione del profilo nelle chat che frequenta. È la foto che decide tutto.
“Se non trova la sua taglia, la aiuto a cercarla” dice la commessa giungendole alle spalle.
Lara sobbalza e, mentre si sta chiedendo perché mai dovrebbe essere così difficile riconoscere la propria misura scritta su una etichetta, tira fuori il primo vestito taglia 44 che le capita sotto mano: è brutto, anzi orribile, non lo indosserebbe mai, ma vuole scrollarsi di dosso quella arpia tutta denti e tecniche di vendita.
“Provo questo” dice risoluta.
Si dirige verso i camerini, da quello delle donne esce una signora di mezza età con uno spolverino beige che le pende da un braccio. Quando si incrociano, la signora la guarda dall’alto in basso, esitando qualche secondo di troppo davanti alla porta del camerino, come se non si aspettasse che anche Lara voglia entrare lì. Poi, davanti al suo incedere, si sposta con gesto eccessivo per lasciarla passare e le sorride con imbarazzo. “Mi scusi” dice abbassando lo sguardo.
Lara vorrebbe chiederle per che cosa si stia scusando, forse la signora teme che certi pensieri possano avere un colore o un odore sgradevoli che l’altro è in grado di percepire in tempo reale. Si infila nello spogliatoio e tira con forza la tenda pesante e troppo corta. Si appoggia alla parete col vestito in mano e una sensazione di oppressione al petto.
Non avrebbe dovuto accettare questo appuntamento al buio, non può funzionare, non è in questo modo che può conquistare un uomo. Deve avere il coraggio di farsi vedere subito in carne ed ossa, senza la protezione di uno schermo e mille battute ironiche ed inutili che le riescono fin troppo bene. Manda giù a vuoto, alza lo sguardo al soffitto, respira profondo. E se non andasse?
“Come va il vestito?” chiede la commessa ferma a pochi passi dalla tenda. Lara esce all’istante, non finge neanche di averlo provato, glielo deposita in mano e si dirige verso l’uscita.
Ora mancano solo sei minuti all’appuntamento, ancora non ha pensato a come presentarsi: meglio stringergli la mano dicendo “Piacere, Lara” o sorridergli, aspettando che sia lui a dire qualcosa?
Attraversa la strada, gira a sinistra e si ritrova sulla piazza dove c’è il bar “Smeraldo”, quello dell’incontro. Il cuore le batte nella gola e nelle tempie, sistema la giacca e abbassa la gonna.
Lorenzo73 è già lì, in piedi davanti all’ingresso del bar, lo sguardo che si sposta con lentezza sui quattro angoli della piazza per cercarla. I loro sguardi si incrociano, anche lui sembra riconoscerla, abbozza un sorriso.
Non più di venti metri li separano: Lara sa che saranno i più complicati, quelli che le faranno capire se Lorenzo73 sia disposto ad accettare che Lara, quella della chat, e Luca, lo sconosciuto che gli sta di fronte, siano la stessa persona. Forse si arrabbierà, si sentirà ingannato o offeso, magari la colpirà con violenza. Ma non le importa: questo è il primo vero gesto che si concede come Lara, il suo primo tentativo di giocare quella parte femminile che spinge per venire fuori. Accelera il passo, allarga il sorriso, lo fissa negli occhi con intensità.
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