RECENSIONI
Saphia Azzeddine
Mio padre fa la donna delle pulizie
Giulio Perrone Editor, Pag. 115 Euro 10,00
Cantava Battiato: non sopporto i cori russi, la musica finto rock, la new wawe italiana, il free jazz e il punk inglese, neanche la nera africana...
Parafrasandolo direi: non sopporto i russi d'oggi, la narrativa finto-giovanilistica, il pulp italiano e il terzomondismo letterario.
Cantava Lucio Dalla: la musica andina, che noia mortale!/ sono più di tre anni che si ripete sempre uguale.
Parafrasandolo direi: la letteratura africana che noia mortale, sono ormai decenni che si ripete sempre uguale.
Ma tra il terzomondismo e l'appartenenza africana c'è la figliolanza europea quella che è nata da una generazione che nella diaspora s'è sparsa in mille rivoli e in mille paesi.
Saphia Azzedine appartiene al gruppo: nata ad Agadir in Marocco, all'età di nove anni s'è trasferita con la famiglia in Francia per cercare una nuova speranza.
Ahimé quest'ultima l'ha tolta a noi che speravamo in una scrittrice che evitasse le sabbie mobili del luogo comune e convenzionalità da 'banlieuses parigine'.
In Mio padre fa la donna delle pulizie mancano le barricate, ma non manca l'intero armamentario del terzomondismo sfigato e pure noioso.
Fortuna che due cose sono diverse: se la prima, la lingua, contiene in sé improvvise illuminazioni e una 'nticchia di atipicità (vedi: Il ritorno a scuola, a me, non mi eccitava. Per ritornare, bisogna essere partiti. Io la chiamo la ripresa della scuola. Così riprendevo, di buon mattino), la seconda è incomprensibile: perché la Azzedine, che è ovviamente una femminuccia, trasla il suo 'genere' e si trasforma in un quattordicenne che pensa che ha il pisello piccolo, ma appena può lo sbandiera come fosse un vessillo preziosissimo?
Tutto il resto, citando il solito e mitico filosofo, è noia: razzismo di riporto, quello messo in pratica da chi da millenni è vittima dello stesso, cronache familiari prese dal discount dietro l'angolo, atipicità ed astrusità che invece dopo poco si rivelano fotocopiature da modello Xerox anteguerra.
Suvvia uno scatto d'orgoglio: se le cose son brutte, son brutte anche se son scritte da poveri disgraziati. E' il solito discorso: se un ebreo ti sta sul cazzo, ti deve stare per forza simpatico, se no sei antisemita. Così se dici che la letteratura africana (ma ci metto pure quella sudamericana) non ti piace... figurati, passi per reazionario e globalizzatore.
In dubis abstine dicevano i latini: ma qua di dubbi ce ne sono pochi.
di Alfredo Ronci
Parafrasandolo direi: non sopporto i russi d'oggi, la narrativa finto-giovanilistica, il pulp italiano e il terzomondismo letterario.
Cantava Lucio Dalla: la musica andina, che noia mortale!/ sono più di tre anni che si ripete sempre uguale.
Parafrasandolo direi: la letteratura africana che noia mortale, sono ormai decenni che si ripete sempre uguale.
Ma tra il terzomondismo e l'appartenenza africana c'è la figliolanza europea quella che è nata da una generazione che nella diaspora s'è sparsa in mille rivoli e in mille paesi.
Saphia Azzedine appartiene al gruppo: nata ad Agadir in Marocco, all'età di nove anni s'è trasferita con la famiglia in Francia per cercare una nuova speranza.
Ahimé quest'ultima l'ha tolta a noi che speravamo in una scrittrice che evitasse le sabbie mobili del luogo comune e convenzionalità da 'banlieuses parigine'.
In Mio padre fa la donna delle pulizie mancano le barricate, ma non manca l'intero armamentario del terzomondismo sfigato e pure noioso.
Fortuna che due cose sono diverse: se la prima, la lingua, contiene in sé improvvise illuminazioni e una 'nticchia di atipicità (vedi: Il ritorno a scuola, a me, non mi eccitava. Per ritornare, bisogna essere partiti. Io la chiamo la ripresa della scuola. Così riprendevo, di buon mattino), la seconda è incomprensibile: perché la Azzedine, che è ovviamente una femminuccia, trasla il suo 'genere' e si trasforma in un quattordicenne che pensa che ha il pisello piccolo, ma appena può lo sbandiera come fosse un vessillo preziosissimo?
Tutto il resto, citando il solito e mitico filosofo, è noia: razzismo di riporto, quello messo in pratica da chi da millenni è vittima dello stesso, cronache familiari prese dal discount dietro l'angolo, atipicità ed astrusità che invece dopo poco si rivelano fotocopiature da modello Xerox anteguerra.
Suvvia uno scatto d'orgoglio: se le cose son brutte, son brutte anche se son scritte da poveri disgraziati. E' il solito discorso: se un ebreo ti sta sul cazzo, ti deve stare per forza simpatico, se no sei antisemita. Così se dici che la letteratura africana (ma ci metto pure quella sudamericana) non ti piace... figurati, passi per reazionario e globalizzatore.
In dubis abstine dicevano i latini: ma qua di dubbi ce ne sono pochi.
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