RACCONTI
Leonardo Tonini
Notte al porto
Il rumore del battello mi teneva sveglio. Faceva la spola tra Kyle of Lochalsh e l'isola di Skye, la famosa isola di Skye. Attraversava il sottile braccio di mare e ogni mezz'ora tornava al porto. Il suo era un lavoro inutile, nessuno prende un traghetto a quell'ora da quelle parti, ma gli scozzesi per i soldi possono anche lavorare inutilmente. C'era anche il faro arancione pendente dalla tettoia che non mi faceva prendere sonno; e il freddo e la paura. Ero stanco morto e non avevo mangiato niente per tutta la giornata, mi sentivo privo di forze, con il corpo intirizzito dal freddo e dall'umidità. Forse ero stato peggio nel corso degli anni, ma non avevo una notte come quella davanti, ero nel mio letto, a casa mia. La paura era che, se mi fossi addormentato, la mia temperatura corporea si sarebbe abbassata fino a quella ambientale, che in quel momento era intorno agli 8 gradi.
Il battello si mosse per uscire dal porto, lo capivo dal borbottio del motore che cambiava d’intensità. Il paese viveva per il porto. Il treno finiva i suoi binari a venti metri dal mare, la motrice veniva sganciata dal convoglio e portata sulla coda. Andava a gasolio e si tenevano chiusi i finestrini per non morire intossicati. Niente più viaggi per quel giorno, ci avevano detto, si dovevano aspettare le sette e mezza di mattina per ripartire. Il treno era incustodito, come la stazione e il porto. L'ultima persona che c’era salita l'aveva percorso per tutta la lunghezza, - quattro vagoni oltre la motrice - bloccando tutti i finestrini e le porte e spegnendo la luce. Era entrato nell’edificio della stazione, si era chiuso dentro e non ne era più uscito. Sull’altro lato dell'edificio c’era una compagnia di italiani che occupavano le panchine. Si erano rintanati nei sacchi a pelo e ci avevano augurato la buona notte. Una nave da guerra, attraccata proprio dove finiva la stazione, batteva bandiera saudita e i marinai barbuti uscivano di rado sul ponte. Ci chiedemmo cosa ci facesse così a nord. Nemmeno sapevo che i sauditi fossero dotati di una flotta. Su una banchina, c’era un vecchio caterpillar giallastro, arrugginito, che pareva in disarmo. Più in là, dopo uno spiazzo, erano sistemati dei container di diverso colore e qualche carrello come quelli per portare i bagagli. Di giorno quel posto doveva essere pieno di cormorani, aveva detto Luigi.
Le punture delle zanzare si facevano sentire. Nel pomeriggio eravamo stati in un posto chiamato Achnashellach, ci era piaciuto il nome. Una fermata del treno che dovevi prenotare. L'avevamo fatto per non essere attorniati da gente che parlava l'italiano come a Edimburgo o a Inverness. C'erano italiani dappertutto in Scozia, la cosa ci era venuta presto a noia. Ad Achnashellach, di là dalle rotaie c'era una casa dove abitava in vecchio con il suo gatto. Il vecchio disse che non voleva ospitarci, ma che ci lasciava vedere il giardino. Al momento pensai che se avessimo allungato una mancia un posto per la notte l’avrebbe trovato; Luigi, più concreto, propose di ammazzarlo. Nessuno se ne sarebbe accorto per giorni in quella prateria.
Il giardino saliva verso la collina. Era magnifico come non pensavo ce ne fossero a quelle latitudini, e molto curato. Ma presto ci accorgemmo della maledizione di quel posto, le zanzare. Ci doveva essere uno specchio d'acqua da quelle parti. E, infatti, una volta in cima al giardino, intravedemmo qualcosa, un riflesso color acciaio dopo gli alberi più in basso della ferrovia. Il treno sarebbe passato dopo due ore e le zanzare si stavano svegliando col calare del sole. Fuggimmo dal giardino, suonammo al vecchio per avere un ricovero, lui con i suoi tempi venne alla porta (una porta con la zanzariera) ci disse che non potevamo entrare. Gli dicemmo delle mosquitoes e lui alzò il pollice verso di noi. Tornammo verso la panchina che sembrava abbandonata da decenni, le zanzare imperversavano. C’era un capanno degli attrezzi, per fortuna la porta era solo appoggiata. Ci infilammo dentro e attendemmo il treno. Passammo il tempo a insultare il vecchio e con lui tutta la Scozia.
Solo a Kyle of Lochalsh le zanzare, con l’arrivo del vento, se ne andarono. Il vento veniva dal mare e portava con sé l'umidità e il freddo. Non fu un gran miglioramento.
Il traghetto non avrebbe continuato tutta notte, si fermava sempre dalle tre alle cinque. Se andava voleva dire che non erano ancora le tre. Le banchine del porto erano deserte da un pezzo: alle dieci non si trova neanche un cane in tutta la Scozia. Non volevo muovermi, volevo solo vedere che ore fossero, ma credevo che sarei andato in pezzi come se fossi fatto di cristallo, se mi fossi spostato da dove ero. Era l’8 di Agosto, in Italia si superavano i quaranta, ma le Highlands erano un’altra cosa. Alla fine mi decisi e, nel muovermi contro la schiena di Baak, sciupai le piccole sacche di calore che si erano formate tra me e lui, e fui scosso da brividi. Riprovai con più decisione. Lo chiamai, la mia voce aveva un suono strano.
“Dorme.” Mi sentii dire.
Girai la testa verso la voce, era Luigi che aveva mantenuto la sua posizione sulla panchina con i capelli che gli coprivano mezza faccia. Lo guardai come per dire: “Chi ce l'ha fatto fare?”. Luigi annuì.
Conoscevo l'insonnia da prima di arrivare in Scozia, sapevo che aveva il suo codice deontologico e che andava rispettato. In Scozia l'ha conosciuta anche Luigi. Poli di notte russava come un vecchio trattore, Baak con la gola faceva il verso del tacchino. Gli occhi devono palpebrare di tanto in tanto, non si possono tenere chiusi per troppo tempo o si rischia di spezzare l’incanto. È come quando si è così ubriachi che non si riesce a dormire, e appena si tenta di chiudere gli occhi la stanza comincia a girare. Bisogna tenerli aperti e ascoltare lo stomaco.
Mi ero rannicchiato per terra, su un asciugamano, e Baak aveva fatto altrettanto, ora respirava tranquillamente senza fare il verso del tacchino. Un motore si mise in moto, lo sentivo lontano, sembrava quello di un generatore di corrente. Luigi si alzò dalla panchina e se ne andò; vidi le sue gambe passarmi davanti.
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