INTERVISTE
Patrick Fogli
Iniziamo subito col dire che il romanzo ha una marcia in più grazie alla tua scrittura. Semplicemente scoppiettante. Un ritmo eccezionale. Una plasticità da grande autore di thriller. Confermi?
Beh, più che confermare, ringrazio. Quello che posso dire è che l'idea era quella di raccontare una storia che ti tenesse attaccato alla pagina. Che tu la riconoscessi come vera oppure no.
L'Italia del tuo "Non voglio il silenzio" è un Paese con una democrazia limitata. E con una palese doppia struttura di potere. Da un lato le istituzioni ufficiali e i suoi rappresentanti, dall'altro i veri manovratori occulti. Domanda, forse sciocca, ma è davvero così?
La nostra storia recente è un testimone efficace della nostra democrazia limitata. Almeno fino a quando sono esistiti i due blocchi. Siamo un Paese di confine, siamo stati l'ultimo confine prima del blocco comunista. E con il partito comunista più forte dell'occidente. Un occhio di riguardo lo abbiamo avuto. Oggi è tutto cambiato o forse non è cambiato niente. L'Italia di Non voglio il silenzio è un posto in cui il potere economico della criminalità organizzata è così forte da non poter essere più distinto da quello dell'economia legale, dove il confino fra lecito e illecito è molto sfocato o non esiste più, dove Cosa Nostra è un mezzo e non un avversario. Ed è così da molti anni. La mafia ha avuto un ruolo nello sbarco alleato in Sicilia, nel tentativo di golpe di Borghese. Ha collegamenti forti e secolari col mondo politico e imprenditoriale. E far finta di niente non cambia le cose. Anzi.
Come nasce la collaborazione con il giornalista Ferruccio Pinotti, autore di ottimi libri inchiesta, dall'Opus Dei, a Berlusconi alla Massoneria, pubblicati con Chiarelettere e Rizzoli?
Conosco e stimo Ferruccio da parecchi anni. E la storia che abbiamo scritto è nata da uno scambio di messaggi, commentando alcune notizie. Scriverla insieme è stato naturale.
Il romanzo a un certo punto fa anche capire che l'Italia è un Paese a sovranità limitata anche per questioni geopolitiche e di più ampio livello internazionale. Che facciamo, ci dobbiamo rassegnare o abbiamo margini di miglioramento?
Sul senso civico, sul desiderio di capire cosa ci succede intorno, sulla richiesta di legalità – quotidiana, quasi domestica –, sul bisogno assoluto di non assecondare soprusi e ingiustizie e di reclamare il rispetto dei diritti, abbiamo enormi margini di miglioramento.
I personaggi. Alla ricerca di una verità impossibile. Turbati. Eroi post-moderni li definirei, che giornalisticamente e professionalmente dedicano la loro vita a una causa. Nella realtà esistono davvero?
Sono molti i giornalisti che hanno rischiato la pelle per il loro lavoro. O che ce l'hanno proprio lasciata. Giancarlo Siani, Pippo Fava, Beppe Alfano, Mauro De Mauro, Mauro Rostagno. Solo per fare qualche nome. Qualche anno fa un rapporto dell'ordine dei giornalisti stimava in circa duecento quelli che sono minacciati. Una decina vivono sotto scorta. Rosaria Capacchione e Lirio Abbate, tanto per fare due nomi. Gente, appunto, che rischia la vita per fare il proprio lavoro. E che continua a farlo.
Tu che idea ti sei fatto del periodo di cui parli nel romanzo, ovvero gli anni da Tangentopoli in poi culminati con le stragi di Capaci, di via D'Amelio e delle bombe ai monumenti romani? O meglio, il romanzo rispecchia fedelmente ciò che pensi o credi che una verità unica e definitiva non ci sia ancora?
Il romanzo rappresenta bene quello che io e Ferruccio pensiamo. Se per verità intendi quella giudiziaria, ti lascio con le parole di Daniele, nel romanzo. "Questa storia non si può dimostrare, eppure so che è vera".
Andiamo sull'attualità. L'Italia è un Paese senza governanti. Ci sono solo faccendieri da quel che risalta sia dalla cronaca politica che da tante inchieste degli ultimi tempi. La pseudo sinistra che occupa il parlamento non sembra essere immune da questa sindrome tutta italiana. Ha ancora senso andare a votare?
Ha sempre senso andare a votare. Sempre. Anche perché se non voti, poi perdi il diritto di lamentarti o di sperare che le cose vadano meglio. Non credo a chi dice che nessuno lo rappresenta. E credo che si debba cominciare a ragionare che la rappresentanza al 100% – un partito o un uomo politico che la pensa esattamente come te – è un'utopia. Ma non occuparsi del mondo non ti libera dal fatto che il mondo, prima o poi, si occuperà di te. Della tua vita, quella spicciola di tutti i giorni. La politica, per fortuna, non è tutta cronaca nera o giudiziaria. Di certo l'immagine che dà non incoraggia a muoversi verso un seggio. Ma l'indifferenza è anche peggio. Un alibi per l'indifferente e un favore al colluso, al disonesto, al faccendiere, un lasciapassare all'intrallazzo.
Hai avuto qualche autore di riferimento nello scrivere questo bellissimo romanzo che personalmente candiderò alla prima edizione del premio del Paradiso degli Orchi per narrativa edita che si terrà il prossimo anno? (è una notizia che ti do in anteprima)
Grazie per la candidatura. Sono molto contento. Leggo molto e un po' di tutto. Alla fine credo che qualcosa finisca in quello che scrivo. Se devo darti un riferimento preciso, non so cosa risponderti. Mentre scrivevo il romanzo avevo in mano Javier Marías e Javier Cercas. Ma è un caso. Forse.
Beh, più che confermare, ringrazio. Quello che posso dire è che l'idea era quella di raccontare una storia che ti tenesse attaccato alla pagina. Che tu la riconoscessi come vera oppure no.
L'Italia del tuo "Non voglio il silenzio" è un Paese con una democrazia limitata. E con una palese doppia struttura di potere. Da un lato le istituzioni ufficiali e i suoi rappresentanti, dall'altro i veri manovratori occulti. Domanda, forse sciocca, ma è davvero così?
La nostra storia recente è un testimone efficace della nostra democrazia limitata. Almeno fino a quando sono esistiti i due blocchi. Siamo un Paese di confine, siamo stati l'ultimo confine prima del blocco comunista. E con il partito comunista più forte dell'occidente. Un occhio di riguardo lo abbiamo avuto. Oggi è tutto cambiato o forse non è cambiato niente. L'Italia di Non voglio il silenzio è un posto in cui il potere economico della criminalità organizzata è così forte da non poter essere più distinto da quello dell'economia legale, dove il confino fra lecito e illecito è molto sfocato o non esiste più, dove Cosa Nostra è un mezzo e non un avversario. Ed è così da molti anni. La mafia ha avuto un ruolo nello sbarco alleato in Sicilia, nel tentativo di golpe di Borghese. Ha collegamenti forti e secolari col mondo politico e imprenditoriale. E far finta di niente non cambia le cose. Anzi.
Come nasce la collaborazione con il giornalista Ferruccio Pinotti, autore di ottimi libri inchiesta, dall'Opus Dei, a Berlusconi alla Massoneria, pubblicati con Chiarelettere e Rizzoli?
Conosco e stimo Ferruccio da parecchi anni. E la storia che abbiamo scritto è nata da uno scambio di messaggi, commentando alcune notizie. Scriverla insieme è stato naturale.
Il romanzo a un certo punto fa anche capire che l'Italia è un Paese a sovranità limitata anche per questioni geopolitiche e di più ampio livello internazionale. Che facciamo, ci dobbiamo rassegnare o abbiamo margini di miglioramento?
Sul senso civico, sul desiderio di capire cosa ci succede intorno, sulla richiesta di legalità – quotidiana, quasi domestica –, sul bisogno assoluto di non assecondare soprusi e ingiustizie e di reclamare il rispetto dei diritti, abbiamo enormi margini di miglioramento.
I personaggi. Alla ricerca di una verità impossibile. Turbati. Eroi post-moderni li definirei, che giornalisticamente e professionalmente dedicano la loro vita a una causa. Nella realtà esistono davvero?
Sono molti i giornalisti che hanno rischiato la pelle per il loro lavoro. O che ce l'hanno proprio lasciata. Giancarlo Siani, Pippo Fava, Beppe Alfano, Mauro De Mauro, Mauro Rostagno. Solo per fare qualche nome. Qualche anno fa un rapporto dell'ordine dei giornalisti stimava in circa duecento quelli che sono minacciati. Una decina vivono sotto scorta. Rosaria Capacchione e Lirio Abbate, tanto per fare due nomi. Gente, appunto, che rischia la vita per fare il proprio lavoro. E che continua a farlo.
Tu che idea ti sei fatto del periodo di cui parli nel romanzo, ovvero gli anni da Tangentopoli in poi culminati con le stragi di Capaci, di via D'Amelio e delle bombe ai monumenti romani? O meglio, il romanzo rispecchia fedelmente ciò che pensi o credi che una verità unica e definitiva non ci sia ancora?
Il romanzo rappresenta bene quello che io e Ferruccio pensiamo. Se per verità intendi quella giudiziaria, ti lascio con le parole di Daniele, nel romanzo. "Questa storia non si può dimostrare, eppure so che è vera".
Andiamo sull'attualità. L'Italia è un Paese senza governanti. Ci sono solo faccendieri da quel che risalta sia dalla cronaca politica che da tante inchieste degli ultimi tempi. La pseudo sinistra che occupa il parlamento non sembra essere immune da questa sindrome tutta italiana. Ha ancora senso andare a votare?
Ha sempre senso andare a votare. Sempre. Anche perché se non voti, poi perdi il diritto di lamentarti o di sperare che le cose vadano meglio. Non credo a chi dice che nessuno lo rappresenta. E credo che si debba cominciare a ragionare che la rappresentanza al 100% – un partito o un uomo politico che la pensa esattamente come te – è un'utopia. Ma non occuparsi del mondo non ti libera dal fatto che il mondo, prima o poi, si occuperà di te. Della tua vita, quella spicciola di tutti i giorni. La politica, per fortuna, non è tutta cronaca nera o giudiziaria. Di certo l'immagine che dà non incoraggia a muoversi verso un seggio. Ma l'indifferenza è anche peggio. Un alibi per l'indifferente e un favore al colluso, al disonesto, al faccendiere, un lasciapassare all'intrallazzo.
Hai avuto qualche autore di riferimento nello scrivere questo bellissimo romanzo che personalmente candiderò alla prima edizione del premio del Paradiso degli Orchi per narrativa edita che si terrà il prossimo anno? (è una notizia che ti do in anteprima)
Grazie per la candidatura. Sono molto contento. Leggo molto e un po' di tutto. Alla fine credo che qualcosa finisca in quello che scrivo. Se devo darti un riferimento preciso, non so cosa risponderti. Mentre scrivevo il romanzo avevo in mano Javier Marías e Javier Cercas. Ma è un caso. Forse.
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