RECENSIONI
Siddhart Kara
Sex Trafficking
Castelvecchi, Pag. 376 Euro 22,00
La tratta del sesso è il procedimento attraverso il quale si spostano persone in condizioni di estrema povertà e dipendenza da un punto all'altro di un territorio con l'uso della forza e sotto ricatto con lo scopo di sfruttarle sessualmente. La tratta semplice si differenzia dalla prima perché lo scopo del reclutamento coatto è quello di costringerle a lavorare gratis. Siddart Kara, giornalista americano di origini asiatiche, si è immerso per diversi anni nell'inferno delle schiave del sesso prima e degli schiavi del lavoro poi in quasi tutti i paesi del mondo (Italia compresa). Teatro prediletto per la prima pratica è l'estremo oriente thailandese, birmano e delle cosiddette nazioni del Mekong (ma anche India e Nepal), teatro della tratta del lavoro si potrebbe dire il mondo intero.
La maggior parte delle vittime di questo abominio sono le donne. Alla fine del 2006 c'erano 28,4 milioni di schiavi sull'intero pianeta. Di questi, 1,2 milioni erano le donne e le bambine (non più grandi dei 13-14 anni) sfruttate sessualmente. Kara ha raccontato in prima persona questo suo viaggio davvero incredibile. E' partito dai bordelli sulla strada dei quartieri a luci rosse thailandesi, è passato per l'Albania e la Moldavia con la miseria che attanaglia una fetta consistente della popolazione fino a costringere le giovani donne ad affidare il loro destino a falsi annunci di lavoro come domestica che le porterà inesorabilmente fra le braccia di quei balordi che le forzeranno in case bordello; è arrivato in Italia, dove le albanesi e le nigeriane e le slave in genere fanno tappa forzata dentro bordelli invisibili e organizzati dentro insospettabili ville dell'Italia benestante del nord; è approdato ad Amsterdam, bordello dei bordelli legali per antonomasia dove nonostante i permessi e la visibilità lo schiavismo sessuale non manca affatto; ha concluso negli Stati Uniti dove, anche se in forma minore, le schiave popolano i centri massaggi thai, o cinesi nell'indifferenza più totale delle associazioni dei diritti umani e con la compiacenza di chi la sua condizione di schiavitù la percepisce come unica possibilità di vita, come unica forma di esistenza consentita.
E' un pugno nello stomaco il linguaggio crudo ed essenziale che Kara, giornalisticamente ma anche, in parte, narrativamente, utilizza per raccontarci questa sua discesa all'inferno. Lascia di stucco sapere che il codice che vige in alcuni centri rurali dell'Albania (chiamato il codice Lëke Dukagjinit) concede alle donne come uniche possibilità di vita quelle di sposarsi per servire l'uomo o, nella sciagurata ipotesi di rimanere zitella, di diventare lei stessa uomo, rinunciando al suo sesso (senza operazione chirurgica ma con un lavaggio del cervello e un cambio di abbigliamento e look estetico) in modo da entrare a far parte della comunità dei maschi che prendono le decisioni. Rifiutando dunque la sua femminilità. Vengono i brividi ascoltando le parole delle schiave thailandesi che rifiutano l'aiuto di coloro che vorrebbero liberarle dalla loro condizione perché il senso di colpa inculcato dalla loro religione di casta (il buddismo theravada) e dalla loro tradizione culturale impone loro di mantenere i genitori altrimenti vengono ripudiate dall'intera famiglia (ma il problema è che quando iniziano a prostituirsi vengono ripudiate comunque).
Kara, come soluzione al problema, suggerisce la penalizzazione della pratica della prostituzione e l'attacco diretto ai profitti che gli schiavisti ottengono da questo giro di affari enorme (nel 2007 sono stati calcolati introiti per 132,5 miliardi di dollari con profitti di 91,2 miliardi di cui 39,7 dalle vittime di tratta del sesso). Lo sforzo però deve essere globale e di tutti i Paesi coinvolti, uniti in una specie di grande coalizione per la libertà.
di Adriano Angelini
La maggior parte delle vittime di questo abominio sono le donne. Alla fine del 2006 c'erano 28,4 milioni di schiavi sull'intero pianeta. Di questi, 1,2 milioni erano le donne e le bambine (non più grandi dei 13-14 anni) sfruttate sessualmente. Kara ha raccontato in prima persona questo suo viaggio davvero incredibile. E' partito dai bordelli sulla strada dei quartieri a luci rosse thailandesi, è passato per l'Albania e la Moldavia con la miseria che attanaglia una fetta consistente della popolazione fino a costringere le giovani donne ad affidare il loro destino a falsi annunci di lavoro come domestica che le porterà inesorabilmente fra le braccia di quei balordi che le forzeranno in case bordello; è arrivato in Italia, dove le albanesi e le nigeriane e le slave in genere fanno tappa forzata dentro bordelli invisibili e organizzati dentro insospettabili ville dell'Italia benestante del nord; è approdato ad Amsterdam, bordello dei bordelli legali per antonomasia dove nonostante i permessi e la visibilità lo schiavismo sessuale non manca affatto; ha concluso negli Stati Uniti dove, anche se in forma minore, le schiave popolano i centri massaggi thai, o cinesi nell'indifferenza più totale delle associazioni dei diritti umani e con la compiacenza di chi la sua condizione di schiavitù la percepisce come unica possibilità di vita, come unica forma di esistenza consentita.
E' un pugno nello stomaco il linguaggio crudo ed essenziale che Kara, giornalisticamente ma anche, in parte, narrativamente, utilizza per raccontarci questa sua discesa all'inferno. Lascia di stucco sapere che il codice che vige in alcuni centri rurali dell'Albania (chiamato il codice Lëke Dukagjinit) concede alle donne come uniche possibilità di vita quelle di sposarsi per servire l'uomo o, nella sciagurata ipotesi di rimanere zitella, di diventare lei stessa uomo, rinunciando al suo sesso (senza operazione chirurgica ma con un lavaggio del cervello e un cambio di abbigliamento e look estetico) in modo da entrare a far parte della comunità dei maschi che prendono le decisioni. Rifiutando dunque la sua femminilità. Vengono i brividi ascoltando le parole delle schiave thailandesi che rifiutano l'aiuto di coloro che vorrebbero liberarle dalla loro condizione perché il senso di colpa inculcato dalla loro religione di casta (il buddismo theravada) e dalla loro tradizione culturale impone loro di mantenere i genitori altrimenti vengono ripudiate dall'intera famiglia (ma il problema è che quando iniziano a prostituirsi vengono ripudiate comunque).
Kara, come soluzione al problema, suggerisce la penalizzazione della pratica della prostituzione e l'attacco diretto ai profitti che gli schiavisti ottengono da questo giro di affari enorme (nel 2007 sono stati calcolati introiti per 132,5 miliardi di dollari con profitti di 91,2 miliardi di cui 39,7 dalle vittime di tratta del sesso). Lo sforzo però deve essere globale e di tutti i Paesi coinvolti, uniti in una specie di grande coalizione per la libertà.
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