DE FALSU CREDITU
Cesare Vivacchiamo
Silloge
Cacca-mo edizioni, Pag. 139 Euro 16.00
La boccuccia a culo dell'intransigenza letteraria, quel Colando Ferri (ma che straccio di cognome è? O forse è un nome de plume?), ha avuto l'ardir di contestare anche la titolazione. Perché mai, si chiede, il trinariciuto e sconsolante scrivente, dobbiamo sopportare una Silloge, quando basterebbe un'antologia o raccolta di versi? Forse perché il classicheggiar è dolce in questo mar?
E come prendere la provocazione a tutto tondo del rimestar negli anni quando, e cito paro paro l'estensore: per un contenimento demografico, antica e sicura proposta anni Settanta: obbligare il poeta a rilegare i suoi cacheronzoli con la propria pelle e premiare solo i sopravvissuti? Diciamocelo: il Ferri ignora di brutto il Vivacchiamo. Nel senso che s'è accorto di lui troppo tardi (ma non intendiamo come l'abbia 'studiato') e ha creduto d'impalarlo dietro una mortificante sequela di insulti, definendolo persino 'poetastro della domenica'.
Crediamo che ignori soprattutto i fulgidi esordi, e quella raccolta (così sarà in pace il criticone!) che il poeta-psicanalista di Macerata pubblicò in piena strategia della tensione (Plasticò – Minnie editore). Versi di una preveggenza addirittura agghiacciante: son della gnosi/ cosi e corsi della politica suburba/ turba del parvo l'incisa/ valldarno e valle del po/ incistita del sé e del corser: quanto del presente è ente e quanto assente?
Poetare politico e significante, livido di presagi funerei, ma nello stesso tempo incline alla speranza di luce in fondo al tunnel. Possiamo forse dimenticare 'La valigia', con quell'incedere maestoso verso il fine ultimo della creazione (del poeta? Del mito? Del Creatore stesso?)?: Uor/ che non è uomo/ perché castigat ridendo mores/ non ride di sé/ ma sé trangugia in terraaria/ quell'aria che il mondo ormai/ vede non sé ma da sé distante/.
Mi domando: sarebbe capace il Ferri di distanziare il suo sé (quello sì) sproposito, il suo egotismo sfrenato e a volte insensato, dal contrapposto e qualificante messaggio universale di un poeta stringato ed essenziale. Ha scritto invece di lui, e con ben altre reverenze, Massimo Ponzi: 'poeta innervato nella concretezza della natura, resta indecifrabile, incomprensibile, irriconoscibile'.
Ma mi chiedo, pur nella consapevolezza che il Ponzi abbia invece perfettamente decifrato la koiné del poeta, cosa ci sia di irriconoscibile in versi come: liutai/ come si liuta davanti al mar di Gonzo/ come si prendon le pie dell'orto/ pie del monte e del liutaio/ Orsù dunque/ gettiamo le reti e adombriamoci nel sale.
Il premio ricevuto recentemente dal poeta maceratese (Premio letterario DUEPI, vero e proprio anti-riconoscimento distante anni luce da qualsiasi patrocinio – e scusatemi la boutade – ladrocinio politico) conferma la sua pole position per futuri e più clamoroso successi. D'altronde il presidente dell'associazione culturale Filippo Mankiewicz nella sua locuzione finale ha ribadito il valore cosmopolita dei versi del Vivacchiamo: "Nessuno come lui rende essenza l'inessenza e l'inessenza essenza. Senza comunque."
Sintesi invidiabile.
E come prendere la provocazione a tutto tondo del rimestar negli anni quando, e cito paro paro l'estensore: per un contenimento demografico, antica e sicura proposta anni Settanta: obbligare il poeta a rilegare i suoi cacheronzoli con la propria pelle e premiare solo i sopravvissuti? Diciamocelo: il Ferri ignora di brutto il Vivacchiamo. Nel senso che s'è accorto di lui troppo tardi (ma non intendiamo come l'abbia 'studiato') e ha creduto d'impalarlo dietro una mortificante sequela di insulti, definendolo persino 'poetastro della domenica'.
Crediamo che ignori soprattutto i fulgidi esordi, e quella raccolta (così sarà in pace il criticone!) che il poeta-psicanalista di Macerata pubblicò in piena strategia della tensione (Plasticò – Minnie editore). Versi di una preveggenza addirittura agghiacciante: son della gnosi/ cosi e corsi della politica suburba/ turba del parvo l'incisa/ valldarno e valle del po/ incistita del sé e del corser: quanto del presente è ente e quanto assente?
Poetare politico e significante, livido di presagi funerei, ma nello stesso tempo incline alla speranza di luce in fondo al tunnel. Possiamo forse dimenticare 'La valigia', con quell'incedere maestoso verso il fine ultimo della creazione (del poeta? Del mito? Del Creatore stesso?)?: Uor/ che non è uomo/ perché castigat ridendo mores/ non ride di sé/ ma sé trangugia in terraaria/ quell'aria che il mondo ormai/ vede non sé ma da sé distante/.
Mi domando: sarebbe capace il Ferri di distanziare il suo sé (quello sì) sproposito, il suo egotismo sfrenato e a volte insensato, dal contrapposto e qualificante messaggio universale di un poeta stringato ed essenziale. Ha scritto invece di lui, e con ben altre reverenze, Massimo Ponzi: 'poeta innervato nella concretezza della natura, resta indecifrabile, incomprensibile, irriconoscibile'.
Ma mi chiedo, pur nella consapevolezza che il Ponzi abbia invece perfettamente decifrato la koiné del poeta, cosa ci sia di irriconoscibile in versi come: liutai/ come si liuta davanti al mar di Gonzo/ come si prendon le pie dell'orto/ pie del monte e del liutaio/ Orsù dunque/ gettiamo le reti e adombriamoci nel sale.
Il premio ricevuto recentemente dal poeta maceratese (Premio letterario DUEPI, vero e proprio anti-riconoscimento distante anni luce da qualsiasi patrocinio – e scusatemi la boutade – ladrocinio politico) conferma la sua pole position per futuri e più clamoroso successi. D'altronde il presidente dell'associazione culturale Filippo Mankiewicz nella sua locuzione finale ha ribadito il valore cosmopolita dei versi del Vivacchiamo: "Nessuno come lui rende essenza l'inessenza e l'inessenza essenza. Senza comunque."
Sintesi invidiabile.
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