INTERVISTE
Teresa De Sio
Quando hai deciso di scrivere un romanzo invece di buttar giù testi per un nuovo disco?
Un romanzo è un'avventura dello spirito profondamente diversa da quella che si attraversa con la musica e le canzoni. Quando ho deciso di scrivere questo libro avevo fondamentalmente bisogno di una storia "in solitario". Mi sembrava anche un modo di ricapitalizzare le mie risorse intellettuali ed emotive. Riscrivere, insieme al libro, una nuova mappatura della mia anima.
'Metti il diavolo a ballare' è un romanzo sulla violenza, sull'infanzia stuprata della giovane Archina. E la taranta, come dicono le note di copertina, è un pensiero violento, lontano da qualsivoglia accezione antica e mitica, o come dice la bambina... una balena.
Certamente il mio libro contiene tutte queste cose.
A me interessa anche l'accezione mitica. Il Mito è ciò che resta a noi umani, quando il Cielo ci appare vuoto e la Terra insicura. Il Mito diventa la zona mediana nella quale trovare conforto, poiché nel Mito tutto avviene secondo procedure e regole prestabilite, non si possono commettere errori e quindi s'interrompe la spirale dell'insicurezza, che produce ansia.
Nel rappresentare la cerimonia della taranta, con tutto il rituale 'musicale' quanto ti ha ispirato la tradizione e quanto Ernesto De Martino?
De Martino è una specie di Bibbia per chi ama conoscere le tradizioni del sud. I suoi testi "sono" la tradizione.
C'è (simbolicamente) lui nel gruppo di strani personaggi che fanno domande e che tu descrivi nella fase della taranta di Archina?
Ciò che avevo davanti agli occhi, durante la scrittura di quel capitolo, era proprio la mitica danza di Maria di Nardò che meravigliosamente ci ha tramandato De Martino. Quindi, sì, anche quella piccola troupe da lui capitanata compare in un angolo della descrizione. Naturalmente sono solo piccole apparizioni, ombre, poiché quello che volevo fare era raccontare da un punto di vista differente l'episodio di tarantismo, cioè dal punto di vista della tarantata. Operazione spericolatissima e, per quello che mi risulta, mai tentata prima.
Ad un certo punto del romanzo, un personaggio definisce lo stordimento erotico, un demone meridiano. Fai riferimento forse all'opera di Roger Callois?
Uno degli aspetti del Mito della Taranta consiste proprio nel non relegare il male nel regno delle tenebre e nell'ombra, ma di farlo agire in piena luce. In pieno mezzogiorno. In questo senso il tarantismo mostra il suo aspetto pre-cristiano.
Certo anche Caillois ha scritto molto di questa cosa.
Narduccio, comunista e ateo, ritenuto il carnefice risulta invece la vittima. Angelo, signorotto del posto, è il carnefice. Esiste ancora questa dicotomia? Esiste ancora, ai giorni nostri, questa morale divisa?
Magari esistesse ancora! Almeno sapremmo bene che pesci prendere! Sarebbe pur sempre una forma di orientamento etico, per quanto discutibile. No, credo che ormai l'etica sia scivolata fuori dalle coscienze di molti, come i colori dai panni in un bucato fatto male.
Perché l'epilogo della storia è l'inizio della strategia della tensione?
Volevo lasciare liberi i miei personaggi (Archina e Severino) in un mondo totalmente diverso rispetto a quello salentino da cui essi provengono. Un mondo che li travolge con un nuovo tipo di violenza, quella degli anni di piombo. La cultura salentina che li aveva visti vittime di una violenza privata e singolare, offriva però, anche una potente forma di antidoto contro di essa, proprio attraverso il Mito del Morso del Ragno. La violenza di massa degli anni settanta, invece, non offriva nessun tipo di risarcimento.
Come tutti gli autori di oggi, alla fine del libro non ci 'risparmi' i ringraziamenti. Uno in particolare lo rivolgi a Salvatore Niffoi. E' il tuo scrittore preferito? Se no, quali sono quelli che ti regalano emozioni?
Salvatore Niffoi è un grande padre della lingua sarda, uno scrittore forte e visionario e mi piace molto. Poiché lo conosco, è stato un mio grande sostenitore durante la scrittura del libro. Quando il cammino mi si faceva impervio, lo chiamavo al cellulare e lui mi diceva " dai, dai che ce la puoi fare!" e a me sembrava di essere un pugile suonato, aizzato dall'allenatore.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo prossimo disco e (personalmente spero) dal tuo prossimo romanzo?
Eh eh! Quello che ci si aspetta dalla vita ogni giorno : tutto il peggio e tutto il meglio!
Un romanzo è un'avventura dello spirito profondamente diversa da quella che si attraversa con la musica e le canzoni. Quando ho deciso di scrivere questo libro avevo fondamentalmente bisogno di una storia "in solitario". Mi sembrava anche un modo di ricapitalizzare le mie risorse intellettuali ed emotive. Riscrivere, insieme al libro, una nuova mappatura della mia anima.
'Metti il diavolo a ballare' è un romanzo sulla violenza, sull'infanzia stuprata della giovane Archina. E la taranta, come dicono le note di copertina, è un pensiero violento, lontano da qualsivoglia accezione antica e mitica, o come dice la bambina... una balena.
Certamente il mio libro contiene tutte queste cose.
A me interessa anche l'accezione mitica. Il Mito è ciò che resta a noi umani, quando il Cielo ci appare vuoto e la Terra insicura. Il Mito diventa la zona mediana nella quale trovare conforto, poiché nel Mito tutto avviene secondo procedure e regole prestabilite, non si possono commettere errori e quindi s'interrompe la spirale dell'insicurezza, che produce ansia.
Nel rappresentare la cerimonia della taranta, con tutto il rituale 'musicale' quanto ti ha ispirato la tradizione e quanto Ernesto De Martino?
De Martino è una specie di Bibbia per chi ama conoscere le tradizioni del sud. I suoi testi "sono" la tradizione.
C'è (simbolicamente) lui nel gruppo di strani personaggi che fanno domande e che tu descrivi nella fase della taranta di Archina?
Ciò che avevo davanti agli occhi, durante la scrittura di quel capitolo, era proprio la mitica danza di Maria di Nardò che meravigliosamente ci ha tramandato De Martino. Quindi, sì, anche quella piccola troupe da lui capitanata compare in un angolo della descrizione. Naturalmente sono solo piccole apparizioni, ombre, poiché quello che volevo fare era raccontare da un punto di vista differente l'episodio di tarantismo, cioè dal punto di vista della tarantata. Operazione spericolatissima e, per quello che mi risulta, mai tentata prima.
Ad un certo punto del romanzo, un personaggio definisce lo stordimento erotico, un demone meridiano. Fai riferimento forse all'opera di Roger Callois?
Uno degli aspetti del Mito della Taranta consiste proprio nel non relegare il male nel regno delle tenebre e nell'ombra, ma di farlo agire in piena luce. In pieno mezzogiorno. In questo senso il tarantismo mostra il suo aspetto pre-cristiano.
Certo anche Caillois ha scritto molto di questa cosa.
Narduccio, comunista e ateo, ritenuto il carnefice risulta invece la vittima. Angelo, signorotto del posto, è il carnefice. Esiste ancora questa dicotomia? Esiste ancora, ai giorni nostri, questa morale divisa?
Magari esistesse ancora! Almeno sapremmo bene che pesci prendere! Sarebbe pur sempre una forma di orientamento etico, per quanto discutibile. No, credo che ormai l'etica sia scivolata fuori dalle coscienze di molti, come i colori dai panni in un bucato fatto male.
Perché l'epilogo della storia è l'inizio della strategia della tensione?
Volevo lasciare liberi i miei personaggi (Archina e Severino) in un mondo totalmente diverso rispetto a quello salentino da cui essi provengono. Un mondo che li travolge con un nuovo tipo di violenza, quella degli anni di piombo. La cultura salentina che li aveva visti vittime di una violenza privata e singolare, offriva però, anche una potente forma di antidoto contro di essa, proprio attraverso il Mito del Morso del Ragno. La violenza di massa degli anni settanta, invece, non offriva nessun tipo di risarcimento.
Come tutti gli autori di oggi, alla fine del libro non ci 'risparmi' i ringraziamenti. Uno in particolare lo rivolgi a Salvatore Niffoi. E' il tuo scrittore preferito? Se no, quali sono quelli che ti regalano emozioni?
Salvatore Niffoi è un grande padre della lingua sarda, uno scrittore forte e visionario e mi piace molto. Poiché lo conosco, è stato un mio grande sostenitore durante la scrittura del libro. Quando il cammino mi si faceva impervio, lo chiamavo al cellulare e lui mi diceva " dai, dai che ce la puoi fare!" e a me sembrava di essere un pugile suonato, aizzato dall'allenatore.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo prossimo disco e (personalmente spero) dal tuo prossimo romanzo?
Eh eh! Quello che ci si aspetta dalla vita ogni giorno : tutto il peggio e tutto il meglio!
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