INTERVISTE
Tommaso Labranca
Cominciamo dalla fine. Dalla tua post-fazione dove dici: qualcuno mi ha fatto notare che 'Haiducii' non è un vero romanzo perché si compone di eventi slegati, senza una trama che sia possibile riassumere. In realtà la narrazione è parametrica perché procede per bolle. In questi giorni sto leggendo 'Gli scomparsi' di Daniel Mendelsohn. Ad un certo punto del romanzo l'autore dice che preferisce raccontare le storie come facevano i greci, cioè a scatole cinesi e che il nonno quando raccontava qualcosa impiegava un andamento circolare, creando per ogni evento, ogni personaggio menzionato (...) una storia nella storia, un racconto all'interno del racconto. Insomma, ci sono affinità tra il tuo narrare e quello del nonno di Mendelsohn?
C'è un'affinità con tutti coloro che cercano percorsi accidentati. I racconti dei nonni sono sempre circolari, ma anche pieni di reiterazioni, con salti temporali improvvisi. Se unisci questa incongruenza narrativa a quella dei sogni, capisci come mai usciamo dall'infanzia così impreparati ad affrontare la realtà. La modernità ci vuole essenziali. Ma lo stile di Loos non piace al pubblico medio, che chiama essenzialità la povertà di ispirazione e richiede ancora le solite regole di unità di tempo, luogo e azione. Questo è un bene, perché facilita la vita a chi vuole fare qualcosa di particolare: basta stravolgere l'ordine delle cose. Io non mi considero un narratore. Mi considero un osservatore che prova a mettere su carta le sue osservazioni usando tecniche narrative che posso stravolgere, da cui posso sconfinare. Gli unici narratori sotto i cinquant'anni che abbiamo oggi in Italia sono Ammaniti e Veronesi o almeno per me sono loro i più bravi. Non contaminano la propria scrittura con involuzioni autocentriche di trentenni in crisi che diventano quarantenni in crisi. O con sperimentazioni linguistiche né giochi di altro tipo. Te ne accorgi dalla facilità di trasposizione cinematografica.
Intanto tutta la mia solidarietà per aver ospitato in casa Isabella Santacroce. E ad un certo punto del tuo libro scrivi: Casualmente sulla stessa mensola dove tenevo i libri più nuovi: quelli dei Cannibali, quelli dei chimici scozzesi e quello di Hakim Bey sulle T.A.Z. e sul nomadismo psichico. Dell'intera mensola oggi conservo solo il bambino di legno della Val Gardena. Insomma lo vogliamo dire che certe operazioni editoriali sono come la Corazzata Potemkin in versione Fantozzi?
In fondo Isabella ai tempi era più gestibile di oggi. Non usava ancora fruste e non mescolava avemaria e borchie.
Sono anni che dico che certe operazioni editoriali (ma anche musicali) sono una presa in giro del pubblico. Cose create dai giornalisti per riempire i paginoni centrali dei quotidiani. Sono fenomeni che durano un mese al massimo. Dopo di che gli stessi signori che li hanno creati li distruggono con uno sbadiglio e vanno a caccia della prossima cosa nuova.
Ma la colpa è soprattutto di certi vecchi guru letterari, gente che non vuole morire (culturalmente, sia inteso). I Cannibali furono spinti e vampirizzati da alcuni membri del Gruppo 63 a caccia di sangue giovane con cui continuare a vivere. Oggi succede la stessa cosa con la cosiddetta New Italian Epic. La chiamano all'inglese forse per sentirsi fighi come i cantanti di New R&B. Certi antichi signori che si erano sentiti messi da parte da quanto succedeva negli anni Novanta oggi difendono alcuni poveri mentecatti, fuoricorso di lettere, che scrivono narrativa d'inchiesta. Trovo che tutto ciò sia molto divertente. È l'ennesima grande truffa del rock'n'roll.
'Haiducii' è un libro contro i pregiudizi e a pag. 106 scrivi: Sappiamo tutti che il nostro non è razzismo, ma semplice insofferenza verso il non abbiente. Ma sei proprio sicuro che sia così? Spiegherebbe questo la recente indagine in cui è uscito fuori che un ragazzo italiano su due è razzista?
Certo che sono sicuro che sia così. Non sono un sociologo che stila le sue indagini stando in un ufficetto di qualche università. Sono uno che prende sempre i mezzi pubblici. E vedo gruppi di ragazzi usciti dalle scuole che mai avremmo immaginato trent'anni fa. Sono composti da mulatti, cinesi, italiani e convivono perfettamente insieme perché hanno le stesse pettinature e gli stessi idoli di riferimento e usano lo stesso gergo. E sono tutti razzisti allo stesso modo. Ossia odiano il mendicante, il ragazzo povero che non è al loro livello estetico, chi è fuori dalla banda. È una cosa ben diversa dal gruppetto xenofobo o neonazista. Questi ragazzi non hanno il senso della diversità di razza, perché sono cresciuti in una società e in una scuola che già cominciavano a contenere molti stranieri e figli di stranieri ormai italiani a tutti gli effetti. I veri razzisti siamo noi che abbiamo più di 35 anni.
Sempre nella post-fazione nel chiarire il titolo scrivi: Alla fine il vero haiduc sono io. Perché lo haiduc non è l'eroe, ma un personaggio romantico al limite tra il bene e il male, che sconfina nella delinquenza, ma che lo fa per contrastare i potenti e aiutare i poveri. Chiedo: ma ci hai rimesso un sacco di soldi per aiutare la famiglia rumena?
Nella scrittura molte cose vengono esagerate. Più che soldi, ho rimesso pazienza e tempo. Anzi, non direi rimesso. Direi impegnato. Perché non è stata una perdita. Cercavo di far capire certi nostri comportamenti a un essere candido e ottimista come il mio vicino rumeno. E in cambio ho ricevuto anche io degli insegnamenti. Non esagero dicendo che osservare il loro modo di vita mi ha aiutato a rinunciare ad alcune cose inutili.
Alla fine del romanzo, quando vieni arrestato, chiedi di essere messo in una cella con un mafioso piuttosto che con un fan albanese di Marco Carta. E che dire allora dei cecoslovacchi pre-caduta muro di Berlino che nei jukebox ascoltavano i Ricchi e Poveri?
Dimentichi la Carrà che veniva trasmessa dalla radio irachena tra un bollettino di guerra e l'altra. E la Mongolia. L'inutile guru Giovanni Lindo Ferretti vuole farci credere che si tratta di una terra pura. In realtà i mongoli impazziscono per Toto Cotugno. Dei miei amici escursionisti furono implorati da alcuni mongoli che vivevano nelle tende in mezzo al deserto di cantare L'italiano. La musica leggera è un linguaggio semplice che parla agli animi semplici.
C'è un mio amico che è un tuo fan sfegatato, ti segue da sempre, illuminato sulla strada di damasco dopo la lettura di 'Chaltron Hescon'. Ora però vuole toglierti il saluto dopo aver letto il tuo libro su Renato Zero, e pensa di aspettarti sotto casa per aver saputo che stai facendo una trasmissione con un famoso cantante napoletano...
Evidentemente il tuo amico vive di rendita. E io che non avendo incarichi universitari, non volendo fare l'intellettuale con il maglione bucato che tira avanti insegnando lettere alle scuole medie, non resistendo in un ufficio più di dieci ore, mi procuro da vivere scrivendo cose di servizio. Inoltre se quel tuo amico ha davvero letto quello che ho scritto, dovrebbe sapere che non ho mai posto divisioni tra l'alto e il basso. Ho trattato l'opera di Renato Zero come se fosse quella di Caravaggio e ti assicuro che i due hanno diversi punti di contatto. In quanto al programma televisivo con Gigi D'Alessio non vedo davvero cosa ci sia di male. Mettiamo che questo tuo amico sia un assicuratore. Cosa fa? Rilascia polizze solo alle Ferrari perché le Panda non sono al suo livello? Io non sono un ascoltatore di D'Alessio, come non lo sono nemmeno degli Offlaga Disco Pax e di altri gruppetti che sicuramente piacciono al tuo amico. Ho preso la cosa come un semplice lavoro. E, insieme agli altri autori, ho cercato di creare un prodotto non troppo becero, che fosse in linea con le aspettative e il pubblico di una rete come RaiUno. Questi simpatici intellettuali che schifano le espressioni popolari e che "non c'ho neanche la tv" piangono poi quando non si ritrovano rappresentati in Parlamento. Chiudo dicendo che Gigi umanamente è una vera sorpresa, molto migliore delle sue canzoni. Più umano, generoso e disponibile di tanti paraculati dalla sinistra, odiosi e arroganti. Se vuoi i nomi, ti mando una lista.
Mi hai confessato di volermi sposare dopo aver letto un mio articolo in cui me la prendevo con quella sorta di eroe nazional-popolare che è Roberto Saviano. Ma ti fa davvero vomitare come fa vomitare a me?
Saviano è un miracolato. Ha trattato un argomento grave e importante. Ha compiuto però degli errori: in primo luogo ha ceduto al suo narcisismo. Scrivere sulle fascette "riconosco in questo autore la mia stessa scrittura" è una cosa che nemmeno Flaubert avrebbe fatto. Pubblicare una raccolta di articoli come secondo libro è una cosa che avrebbe fatto inorridire Montanelli. Biagi non avrebbe mai iniziato un articolo parlando del proprio modo di vestire male. Ancora una volta la società dello spettacolo ha colpito, creando un mostro che, per di più, si avvolge in una patina di serietà che aborre i lustrini.
Ma a causare il vero danno sono stati tutti i blogger che lo hanno eletto a loro idolo. D'altronde, il rock non offre più alcuna star interessante. Ragazzotti che fanno la rivoluzione da cameretta, inserendo post sgrammaticati su qualche social network. Quelli che hanno creato gruppi di idolatria su Facebook, che lo considerano un nuovo Gesù, che hanno iniziato a scrivere raccontini sulla camorra pur vivendo in Brianza e sui colli toscani. Saviano è una bolla che presto si sgonfierà. Non so se riuscirà mai a scrivere un altro libro.
Senti, voglio confessarti una cosa: quest'anno, contrariamente alle edizioni precedenti, ho seguito con assiduità 'Il Grande Fratello', perché mi sono incuriosito dalla 'relazione' tra Maicol e Giorgio. Visto che tu sei stato in analisi (lo hai detto da Fazio... guarda che io ti seguo...) per aver sopportato quell'inno da balera rumeno che andava tanto di moda qualche anno fa (perdonami, ma non ricordo il titolo)... che dici? Pure io mi rivolgo ad un buon analista?
Ti confesso che non seguo 'il Grande Fratello' da almeno cinque anni. Perché ogni edizione è la replica di quella precedente. Mi coinvolge di più 'l'Isola dei Famosi'. Non serve l'analisi, che di principio è una cosa inutile, un modo per portarti via dei soldi affine allo scioglipancia di Wanna Marchi, giusto un po' più chic. Non c'è nulla di male nel seguire 'il Grande Fratello'. Per lo meno impari a riconoscere tipologie di persone da evitare nella vita reale.
C'è un'affinità con tutti coloro che cercano percorsi accidentati. I racconti dei nonni sono sempre circolari, ma anche pieni di reiterazioni, con salti temporali improvvisi. Se unisci questa incongruenza narrativa a quella dei sogni, capisci come mai usciamo dall'infanzia così impreparati ad affrontare la realtà. La modernità ci vuole essenziali. Ma lo stile di Loos non piace al pubblico medio, che chiama essenzialità la povertà di ispirazione e richiede ancora le solite regole di unità di tempo, luogo e azione. Questo è un bene, perché facilita la vita a chi vuole fare qualcosa di particolare: basta stravolgere l'ordine delle cose. Io non mi considero un narratore. Mi considero un osservatore che prova a mettere su carta le sue osservazioni usando tecniche narrative che posso stravolgere, da cui posso sconfinare. Gli unici narratori sotto i cinquant'anni che abbiamo oggi in Italia sono Ammaniti e Veronesi o almeno per me sono loro i più bravi. Non contaminano la propria scrittura con involuzioni autocentriche di trentenni in crisi che diventano quarantenni in crisi. O con sperimentazioni linguistiche né giochi di altro tipo. Te ne accorgi dalla facilità di trasposizione cinematografica.
Intanto tutta la mia solidarietà per aver ospitato in casa Isabella Santacroce. E ad un certo punto del tuo libro scrivi: Casualmente sulla stessa mensola dove tenevo i libri più nuovi: quelli dei Cannibali, quelli dei chimici scozzesi e quello di Hakim Bey sulle T.A.Z. e sul nomadismo psichico. Dell'intera mensola oggi conservo solo il bambino di legno della Val Gardena. Insomma lo vogliamo dire che certe operazioni editoriali sono come la Corazzata Potemkin in versione Fantozzi?
In fondo Isabella ai tempi era più gestibile di oggi. Non usava ancora fruste e non mescolava avemaria e borchie.
Sono anni che dico che certe operazioni editoriali (ma anche musicali) sono una presa in giro del pubblico. Cose create dai giornalisti per riempire i paginoni centrali dei quotidiani. Sono fenomeni che durano un mese al massimo. Dopo di che gli stessi signori che li hanno creati li distruggono con uno sbadiglio e vanno a caccia della prossima cosa nuova.
Ma la colpa è soprattutto di certi vecchi guru letterari, gente che non vuole morire (culturalmente, sia inteso). I Cannibali furono spinti e vampirizzati da alcuni membri del Gruppo 63 a caccia di sangue giovane con cui continuare a vivere. Oggi succede la stessa cosa con la cosiddetta New Italian Epic. La chiamano all'inglese forse per sentirsi fighi come i cantanti di New R&B. Certi antichi signori che si erano sentiti messi da parte da quanto succedeva negli anni Novanta oggi difendono alcuni poveri mentecatti, fuoricorso di lettere, che scrivono narrativa d'inchiesta. Trovo che tutto ciò sia molto divertente. È l'ennesima grande truffa del rock'n'roll.
'Haiducii' è un libro contro i pregiudizi e a pag. 106 scrivi: Sappiamo tutti che il nostro non è razzismo, ma semplice insofferenza verso il non abbiente. Ma sei proprio sicuro che sia così? Spiegherebbe questo la recente indagine in cui è uscito fuori che un ragazzo italiano su due è razzista?
Certo che sono sicuro che sia così. Non sono un sociologo che stila le sue indagini stando in un ufficetto di qualche università. Sono uno che prende sempre i mezzi pubblici. E vedo gruppi di ragazzi usciti dalle scuole che mai avremmo immaginato trent'anni fa. Sono composti da mulatti, cinesi, italiani e convivono perfettamente insieme perché hanno le stesse pettinature e gli stessi idoli di riferimento e usano lo stesso gergo. E sono tutti razzisti allo stesso modo. Ossia odiano il mendicante, il ragazzo povero che non è al loro livello estetico, chi è fuori dalla banda. È una cosa ben diversa dal gruppetto xenofobo o neonazista. Questi ragazzi non hanno il senso della diversità di razza, perché sono cresciuti in una società e in una scuola che già cominciavano a contenere molti stranieri e figli di stranieri ormai italiani a tutti gli effetti. I veri razzisti siamo noi che abbiamo più di 35 anni.
Sempre nella post-fazione nel chiarire il titolo scrivi: Alla fine il vero haiduc sono io. Perché lo haiduc non è l'eroe, ma un personaggio romantico al limite tra il bene e il male, che sconfina nella delinquenza, ma che lo fa per contrastare i potenti e aiutare i poveri. Chiedo: ma ci hai rimesso un sacco di soldi per aiutare la famiglia rumena?
Nella scrittura molte cose vengono esagerate. Più che soldi, ho rimesso pazienza e tempo. Anzi, non direi rimesso. Direi impegnato. Perché non è stata una perdita. Cercavo di far capire certi nostri comportamenti a un essere candido e ottimista come il mio vicino rumeno. E in cambio ho ricevuto anche io degli insegnamenti. Non esagero dicendo che osservare il loro modo di vita mi ha aiutato a rinunciare ad alcune cose inutili.
Alla fine del romanzo, quando vieni arrestato, chiedi di essere messo in una cella con un mafioso piuttosto che con un fan albanese di Marco Carta. E che dire allora dei cecoslovacchi pre-caduta muro di Berlino che nei jukebox ascoltavano i Ricchi e Poveri?
Dimentichi la Carrà che veniva trasmessa dalla radio irachena tra un bollettino di guerra e l'altra. E la Mongolia. L'inutile guru Giovanni Lindo Ferretti vuole farci credere che si tratta di una terra pura. In realtà i mongoli impazziscono per Toto Cotugno. Dei miei amici escursionisti furono implorati da alcuni mongoli che vivevano nelle tende in mezzo al deserto di cantare L'italiano. La musica leggera è un linguaggio semplice che parla agli animi semplici.
C'è un mio amico che è un tuo fan sfegatato, ti segue da sempre, illuminato sulla strada di damasco dopo la lettura di 'Chaltron Hescon'. Ora però vuole toglierti il saluto dopo aver letto il tuo libro su Renato Zero, e pensa di aspettarti sotto casa per aver saputo che stai facendo una trasmissione con un famoso cantante napoletano...
Evidentemente il tuo amico vive di rendita. E io che non avendo incarichi universitari, non volendo fare l'intellettuale con il maglione bucato che tira avanti insegnando lettere alle scuole medie, non resistendo in un ufficio più di dieci ore, mi procuro da vivere scrivendo cose di servizio. Inoltre se quel tuo amico ha davvero letto quello che ho scritto, dovrebbe sapere che non ho mai posto divisioni tra l'alto e il basso. Ho trattato l'opera di Renato Zero come se fosse quella di Caravaggio e ti assicuro che i due hanno diversi punti di contatto. In quanto al programma televisivo con Gigi D'Alessio non vedo davvero cosa ci sia di male. Mettiamo che questo tuo amico sia un assicuratore. Cosa fa? Rilascia polizze solo alle Ferrari perché le Panda non sono al suo livello? Io non sono un ascoltatore di D'Alessio, come non lo sono nemmeno degli Offlaga Disco Pax e di altri gruppetti che sicuramente piacciono al tuo amico. Ho preso la cosa come un semplice lavoro. E, insieme agli altri autori, ho cercato di creare un prodotto non troppo becero, che fosse in linea con le aspettative e il pubblico di una rete come RaiUno. Questi simpatici intellettuali che schifano le espressioni popolari e che "non c'ho neanche la tv" piangono poi quando non si ritrovano rappresentati in Parlamento. Chiudo dicendo che Gigi umanamente è una vera sorpresa, molto migliore delle sue canzoni. Più umano, generoso e disponibile di tanti paraculati dalla sinistra, odiosi e arroganti. Se vuoi i nomi, ti mando una lista.
Mi hai confessato di volermi sposare dopo aver letto un mio articolo in cui me la prendevo con quella sorta di eroe nazional-popolare che è Roberto Saviano. Ma ti fa davvero vomitare come fa vomitare a me?
Saviano è un miracolato. Ha trattato un argomento grave e importante. Ha compiuto però degli errori: in primo luogo ha ceduto al suo narcisismo. Scrivere sulle fascette "riconosco in questo autore la mia stessa scrittura" è una cosa che nemmeno Flaubert avrebbe fatto. Pubblicare una raccolta di articoli come secondo libro è una cosa che avrebbe fatto inorridire Montanelli. Biagi non avrebbe mai iniziato un articolo parlando del proprio modo di vestire male. Ancora una volta la società dello spettacolo ha colpito, creando un mostro che, per di più, si avvolge in una patina di serietà che aborre i lustrini.
Ma a causare il vero danno sono stati tutti i blogger che lo hanno eletto a loro idolo. D'altronde, il rock non offre più alcuna star interessante. Ragazzotti che fanno la rivoluzione da cameretta, inserendo post sgrammaticati su qualche social network. Quelli che hanno creato gruppi di idolatria su Facebook, che lo considerano un nuovo Gesù, che hanno iniziato a scrivere raccontini sulla camorra pur vivendo in Brianza e sui colli toscani. Saviano è una bolla che presto si sgonfierà. Non so se riuscirà mai a scrivere un altro libro.
Senti, voglio confessarti una cosa: quest'anno, contrariamente alle edizioni precedenti, ho seguito con assiduità 'Il Grande Fratello', perché mi sono incuriosito dalla 'relazione' tra Maicol e Giorgio. Visto che tu sei stato in analisi (lo hai detto da Fazio... guarda che io ti seguo...) per aver sopportato quell'inno da balera rumeno che andava tanto di moda qualche anno fa (perdonami, ma non ricordo il titolo)... che dici? Pure io mi rivolgo ad un buon analista?
Ti confesso che non seguo 'il Grande Fratello' da almeno cinque anni. Perché ogni edizione è la replica di quella precedente. Mi coinvolge di più 'l'Isola dei Famosi'. Non serve l'analisi, che di principio è una cosa inutile, un modo per portarti via dei soldi affine allo scioglipancia di Wanna Marchi, giusto un po' più chic. Non c'è nulla di male nel seguire 'il Grande Fratello'. Per lo meno impari a riconoscere tipologie di persone da evitare nella vita reale.
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