RECENSIONI
Paolo Donati
Verso la felicità volevano tornare
Mobydick, Pag. 151 Euro 14.00
E' successo tutto in pochi minuti. Il contadino del podere dove siamo sfollati è entrato in casa per avvertire che una squadra di tedeschi si stava avvicinando. Mio padre ha sbattuto il pugno sul tavolo e ha dichiarato che sarebbe andato a prendere la rivoltella. L'ho implorato di non fare scemenze.
Tempo di guerra. Una fase difficile, nel settembre del '44. C'è chi combatte da partigiano, chi nella repubblica di Salò, chi si nasconde, e chi, rimasto in Sicilia, nonostante tutto si sente ancora ufficiale del regno. Il romanzo segue le peripezie di una famiglia nella Romagna martoriata dai nazisti, avvalendosi di più voci narranti. Sono soprattutto due che si alternano: Aurora e suo fratello Libero. Lei si è appena affacciata all'età dei primi amori, lui è un bambino di dieci anni che affronterà il percorso adolescenziale insieme ai momenti più drammatici per la famiglia. Il padre, vedovo, è costretto a darsi alla macchia, mentre l'altra sorella, Speranza, cade nelle mani dei nazisti e viene avviata alla deportazione. Sono storie che coinvolgono sempre, e per quanto si sia già detto e scritto sulla guerra, non ne avremo mai abbastanza. E' come un trauma non risolto, che costringe a rivivere l'esperienza nel tentativo di superarla, e questo succede a chi la guerra l'ha vissuta come a chi l'ha soltanto sentita raccontare.
Per la crescita di Libero è determinante la figura di Ciro, componente della la famiglia presso cui è sfollato. Tornato in stato fallimentare dalla sua emigrazione in Argentina, ma confortato dal tango per cui nutre un'indomabile passione, Ciro porta con sé un tesoro personale fatto di fantasia e gusto per la vita.
...- c'è un signore in pigiama che balla al ritmo di una musica a volume altissimo proveniente da un vecchio fonografo a tromba.
La giacca contiene a malapena la pancia. Ha i capelli brizzolati, pettinati all'indietro e baffi sottili, curatissimi, neri come la pece. E' a piedi nudi. Le ciabatte sono sotto al tavolo su cui si trova una tazzina da caffè vuota.
Il calore umano di Ciro, che ascolta le prime confidenze amorose di Libero, la sua capacità di raccontare storie mirabolanti col rischio di cambiare di continuo la versione dei fatti, la sua disposizione ad amare la vita anche da perdente, fanno di lui il personaggio più simpatico del romanzo.
Aurora invece è divisa fra due amori, così diversi che tutt'e due sembrano avere un ruolo indispensabile nella sua vita. Continua dunque ad altalenare, durante e dopo la guerra, mentre Libero scopre nel jazz il suo filo conduttore. (Qui mi coglie all'improvviso un dubbio irriverente: ma se per caso uno scrittore non ama il jazz, ha qualche speranza di essere pubblicato da Mobydick?).
La narrazione a più voci è sempre efficace, perché aiuta il lettore a calarsi nella soggettività dei personaggi. C'è però da notare che l'uso impeccabile del linguaggio e la precisione sintattica hanno un effetto omologante che attenua un po' la freschezza della comunicazione, specie quando a parlare è Libero da bambino: i ragionamenti sono appropriati all'età, il linguaggio meno. Del resto, se non si è Faulkner in persona, questa può anche essere un'onesta scelta di compromesso.
di Giovanna Repetto
Tempo di guerra. Una fase difficile, nel settembre del '44. C'è chi combatte da partigiano, chi nella repubblica di Salò, chi si nasconde, e chi, rimasto in Sicilia, nonostante tutto si sente ancora ufficiale del regno. Il romanzo segue le peripezie di una famiglia nella Romagna martoriata dai nazisti, avvalendosi di più voci narranti. Sono soprattutto due che si alternano: Aurora e suo fratello Libero. Lei si è appena affacciata all'età dei primi amori, lui è un bambino di dieci anni che affronterà il percorso adolescenziale insieme ai momenti più drammatici per la famiglia. Il padre, vedovo, è costretto a darsi alla macchia, mentre l'altra sorella, Speranza, cade nelle mani dei nazisti e viene avviata alla deportazione. Sono storie che coinvolgono sempre, e per quanto si sia già detto e scritto sulla guerra, non ne avremo mai abbastanza. E' come un trauma non risolto, che costringe a rivivere l'esperienza nel tentativo di superarla, e questo succede a chi la guerra l'ha vissuta come a chi l'ha soltanto sentita raccontare.
Per la crescita di Libero è determinante la figura di Ciro, componente della la famiglia presso cui è sfollato. Tornato in stato fallimentare dalla sua emigrazione in Argentina, ma confortato dal tango per cui nutre un'indomabile passione, Ciro porta con sé un tesoro personale fatto di fantasia e gusto per la vita.
...- c'è un signore in pigiama che balla al ritmo di una musica a volume altissimo proveniente da un vecchio fonografo a tromba.
La giacca contiene a malapena la pancia. Ha i capelli brizzolati, pettinati all'indietro e baffi sottili, curatissimi, neri come la pece. E' a piedi nudi. Le ciabatte sono sotto al tavolo su cui si trova una tazzina da caffè vuota.
Il calore umano di Ciro, che ascolta le prime confidenze amorose di Libero, la sua capacità di raccontare storie mirabolanti col rischio di cambiare di continuo la versione dei fatti, la sua disposizione ad amare la vita anche da perdente, fanno di lui il personaggio più simpatico del romanzo.
Aurora invece è divisa fra due amori, così diversi che tutt'e due sembrano avere un ruolo indispensabile nella sua vita. Continua dunque ad altalenare, durante e dopo la guerra, mentre Libero scopre nel jazz il suo filo conduttore. (Qui mi coglie all'improvviso un dubbio irriverente: ma se per caso uno scrittore non ama il jazz, ha qualche speranza di essere pubblicato da Mobydick?).
La narrazione a più voci è sempre efficace, perché aiuta il lettore a calarsi nella soggettività dei personaggi. C'è però da notare che l'uso impeccabile del linguaggio e la precisione sintattica hanno un effetto omologante che attenua un po' la freschezza della comunicazione, specie quando a parlare è Libero da bambino: i ragionamenti sono appropriati all'età, il linguaggio meno. Del resto, se non si è Faulkner in persona, questa può anche essere un'onesta scelta di compromesso.
di Giovanna Repetto
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