RECENSIONI
Emanuela Ciuffoli
XXX - corpo, porno, web
Costa & Nolan, Pag. 190 Euro 17,40
La pornografia, nata al mondo per farsi delle sane cinquine, pure in compagnia, (leggi Nemici d'infanzia di Luigi Magni - e Giorgio Amendola) o per sditalinarsi, suggestionare pischelli o eccitarsi in previsione del congresso carnale, è scempio e lusinga de' trattatisti demonizzatori ("porno la teoria, stupro la pratica", starnazzano le femministe amàracàne - e non parliamo del chicken porn, ometto nero di qualsiasi teoria del controllo) o ver studiosi dalle labbra emunte, seri e composti nello scoprire dietro ogni katzoo il Fallo, e dietro d'esso il Significante, e ancora il Sinn, la forclusione o sia verwerfung, (p. 39) la Semiosi (infinita, manc'a dirlo), e dietro ogni vagina la Cosa in sé - Kantiana, Skopenaueriana, Freudiana, Lacaniana, Foucaltiana, Deleuze-Guattariana, Barthesadiana, Baudrillardiana, Quisisana - seguendo incoscienti il dettato di Fruttero e Lucentini: "Io dare via cosa in sé, tu dare cinquantamila a me". (ne La cosa in sé, rappresentazione in due atti e una licenza, Einaudi, Torino 1982, p. 54)
Questo saggio onora e prosegue la tradizione che accoppia la masturbazione mentale all' amanuense, sciorinando, nel miglior stile postumano, tutto il cucuzzaro di medi(t)azioni sul Corpo, l' O/Sceno, il Limite, la Presentificazione, (cfr. il Bianciardi "agro") il Performativo, (p. 51: d'ya remember Austin-Searle the odd couple?) la Depotenzializzazione, la Mostrazione/Mestruazione, la Foucaltizzazione/Focalizzazione/Fecalizzazione, il/la Baubò-Baubòn de' Grechi, l'Inscrizione e il Co(g)ito ergo sum, e ancora le disquisizioni sull'intero campionario (con un'eccezione) di zozzerie pre-post, cyber, mutant, kaviar e più e ancora a portata di mano del tele(matico) tele(Lecco) utente.
Tuttavia: a renderlo notevole e importante, nel discorso dell'Autrice emergono, frammisti al gergo del fricchettonismo intellettuale che pappagalleggia l'inchiccheràta chiacchiera dei fighettoni sofomòrici, autentici e corposi interrogativi che riguardano gli erotogrammi. A p. 49 si riporta la dichiarazione d'un artista - il Serrano tanto "scandaloso" da aver immerso un crocefisso nelle proprie acque, intitolandolo "Piss Christ" - che dirime la vessata questione su ciò che è pornografico ricorrendo a un criterio oggettivo: "la pornografia (...) dipende dalla grana delle immagini". E l'Autrice confronta un'idea del porno (pp. 62-3) come "carne senza concetto" - H. Miller dichiarava "io appartengo alla terra", per chiamarsi fuori dalla cigolante umanità -, come "corpo sottratto al processo simbolico", ad una concezione della pornografia (p. 73) come rappresentazione (cfr. p. 92) e representamen, poiché i corpi vengono messi in scena (p. 120) per facilitarne la scopofilìa, (si dà recita in quanto v'è fisiognomica - vultus/vulva, pp. 83-90) e si dànno in una articolazione narrativa (p. 79) realizzata tramite le disjecta membra dei corpi. (p. 87) Questo gioco delle parti, questa sineddoche (e altri strumenti retorici, p. 69 e 118), infine questo ana(l)gramma, (pp. 75 e 87) ch'è grammatica d'un discorso amoroso irrimediabilmente frammentario e ripetitivo, indica la (con)fusione tra strategie sessuali e discorsive: l'uomo parla e fa all'amore, cioè comunica, trasforma in una retorica la copula, e viceversa, poiché "il sesso si fa testo". (p. 28 - ma vedi anche p. 35) Tutto nel sesso come nella filosofia è "open to view": (Wittgenstein, e p. 17) tutto è "costrutto culturale", (p. 35) eppure è "bodies that matters" (p. 32) che pone "in questione i limiti della rappresentazione, o, come acutamente sottolinea John M. Coetzee", mette "in dubbio che la rappresentazione stessa possa avere dei limiti". (p. 36) Si darebbe allora la pornografia come scrittura del corpo, sul corpo, (l'erotizzazione dei tatuati) e corpo a corpo con la scrittura.
E va bene: fin qui, più o meno, il testo. Che, nelle sue apparenze "liberal", non s'impedisce di darsi una minima retorica clericalfascista, istituendo fra immagine e azione una corrispondenza: "il corpo desiderato è ghermito, afferrato da uno sguardo", (p. 93) e dunque se mi erotizzo su una foto porno è come lo facessi su un corpo vero, idea che più che neobarocca (p. 93-4) è neolitica: nella Papua Nuova Guinea, difatti, si pensa che farsi una foto sia farsi rubare l'anima - cioè "intervenire sull'immagine (vuol) dire intervenire sulla persona" (AA. VV., Lingue, Stampa Alternativa, Roma 1998, p. 73). Egl'è poi un testo che non s'interroga se lemmi quali "pornografia" e "osceno" siano appropriati (come pure intuisce a p. 133, discutendo le commistioni del genere) quando si dìano (o-) scene che, pur legate all'erotico, non tràttano del rapporto che si manifesta per i genitali - e si realizzano nella violenza o nel feticcio, dunque dovendo venir derubricati dalla pornografia propriamente detta, ricadendo semmai l'interdetto su questi, e non sull'esposizione (museale) di un piacere che, in sé, non ha nulla di dannoso. E questo silenzio cade malgrado poi si riconosca che ci sono materiali intrattabili per "la (loro) sostanziale differenza con il corpus di riferimento di questo libro". (p. 132)
E', ancora, un testo che (pp. 69, 83 e 87) discetta delle parti del corpo come sineddoche ("pars pro toto" e assieme sesso/frattura (p. 23)) o frammenti (passim) arrazzanti poiché "loro stesse", che riporta del volto e della sua assenza come doppia sessualizzazione, (il volto si sessualizza e il sesso non può fare a meno del volto), e purtuttavia sostiene che "il corpo fonda la narrazione" (p. 24) e dunque la significazione avviene tramite esso integro - trama, testo, "texture". (p. 94) E si contraddice e riscatta però analizzando il classico "la pornografia fa a pezzi il corpo", (p. 97) e delegittimandolo: "il dettaglio funziona come innesco", (p. 99) ovvero non si può dare un frammento se non a partire da un intero. (Omar Calabrese citato a p.100) Quello richiama questo, se no sarebbe sinnlös, (che senso ha un raggio senza ruota? A che serve il pelo a Holmes, se non a indurre la scoperta dell'assassino? E che sarebbe il Peloponneso senza pelo?(Arbore)) e non si ha spezzettamento, semmai "primo piano" (come nel cinema, e nella scienza dell'osservazione e della microscopia).
E oltre: l'indagine sull'erotografia rivela che il "perverso" è chi "piglia l'artificio alla lettera", e fa "dell'artificio una gabbia, la legge stessa". (p. 49) Si definisce il "pervertito" come l'individuo della norma, della regola, dell'istituzione - e così l'autentica "pornografia", nella sua essenza di ripetizione, (citazione, iterazione: p. 33) non è che il discorso del Potere: "il linguaggio encratico (...) è statutariamente un linguaggio di ripetizione". (R. Barthes, Il piacere del testo, Einaudi, Torino 1980(3), pp. 39-40) Il porno definisce (dà i limiti del)la società, i suoi discorsi - depotenziarlo (censurarlo e insieme assumerlo come replicazione/riproduzione), demerdizzarlo, vuol dire dirottare la "critica della ragione impura" (p. 45) non più sul centro del potere, sulla sua retorica, bensì sul nostro corpo. Trasferendo su noi potenziali perversi polimorfi la camicia di forza (a)sessuata dei nostri educastratori - ma "denn was wäre schon diese Revolution /ohne eine allgemeine Kopulation". (Marà-Ssà)
Vi sembra un libro complicato, complesso? Allegri. Essì, perché qualcosa di più complesso c'è, come lo specchio* magico e arba-cadabra-sino alla regina della favola ricordava "bella sei te, ma c'è / qualcuna che più bella è". Ma non darò in queste pagine la cosa che un'Autrice che per tutto il suo testo ha a che fare con "cortocircuiti neuronali", "rappresentazioni unarie", etimi latini, lemmi anglonipponici, ana(l)grammi in urdu, non affronta siccome troppo difficile. Non la darò, a meno di cinquantamila. Dico solo che è a p. 132, in nota. Lì dove spunta l'attacco d'una notevole coda di paglia.
(*)(cfr. pp. 17 e 26)
di Marco Lanzòl
Questo saggio onora e prosegue la tradizione che accoppia la masturbazione mentale all' amanuense, sciorinando, nel miglior stile postumano, tutto il cucuzzaro di medi(t)azioni sul Corpo, l' O/Sceno, il Limite, la Presentificazione, (cfr. il Bianciardi "agro") il Performativo, (p. 51: d'ya remember Austin-Searle the odd couple?) la Depotenzializzazione, la Mostrazione/Mestruazione, la Foucaltizzazione/Focalizzazione/Fecalizzazione, il/la Baubò-Baubòn de' Grechi, l'Inscrizione e il Co(g)ito ergo sum, e ancora le disquisizioni sull'intero campionario (con un'eccezione) di zozzerie pre-post, cyber, mutant, kaviar e più e ancora a portata di mano del tele(matico) tele(Lecco) utente.
Tuttavia: a renderlo notevole e importante, nel discorso dell'Autrice emergono, frammisti al gergo del fricchettonismo intellettuale che pappagalleggia l'inchiccheràta chiacchiera dei fighettoni sofomòrici, autentici e corposi interrogativi che riguardano gli erotogrammi. A p. 49 si riporta la dichiarazione d'un artista - il Serrano tanto "scandaloso" da aver immerso un crocefisso nelle proprie acque, intitolandolo "Piss Christ" - che dirime la vessata questione su ciò che è pornografico ricorrendo a un criterio oggettivo: "la pornografia (...) dipende dalla grana delle immagini". E l'Autrice confronta un'idea del porno (pp. 62-3) come "carne senza concetto" - H. Miller dichiarava "io appartengo alla terra", per chiamarsi fuori dalla cigolante umanità -, come "corpo sottratto al processo simbolico", ad una concezione della pornografia (p. 73) come rappresentazione (cfr. p. 92) e representamen, poiché i corpi vengono messi in scena (p. 120) per facilitarne la scopofilìa, (si dà recita in quanto v'è fisiognomica - vultus/vulva, pp. 83-90) e si dànno in una articolazione narrativa (p. 79) realizzata tramite le disjecta membra dei corpi. (p. 87) Questo gioco delle parti, questa sineddoche (e altri strumenti retorici, p. 69 e 118), infine questo ana(l)gramma, (pp. 75 e 87) ch'è grammatica d'un discorso amoroso irrimediabilmente frammentario e ripetitivo, indica la (con)fusione tra strategie sessuali e discorsive: l'uomo parla e fa all'amore, cioè comunica, trasforma in una retorica la copula, e viceversa, poiché "il sesso si fa testo". (p. 28 - ma vedi anche p. 35) Tutto nel sesso come nella filosofia è "open to view": (Wittgenstein, e p. 17) tutto è "costrutto culturale", (p. 35) eppure è "bodies that matters" (p. 32) che pone "in questione i limiti della rappresentazione, o, come acutamente sottolinea John M. Coetzee", mette "in dubbio che la rappresentazione stessa possa avere dei limiti". (p. 36) Si darebbe allora la pornografia come scrittura del corpo, sul corpo, (l'erotizzazione dei tatuati) e corpo a corpo con la scrittura.
E va bene: fin qui, più o meno, il testo. Che, nelle sue apparenze "liberal", non s'impedisce di darsi una minima retorica clericalfascista, istituendo fra immagine e azione una corrispondenza: "il corpo desiderato è ghermito, afferrato da uno sguardo", (p. 93) e dunque se mi erotizzo su una foto porno è come lo facessi su un corpo vero, idea che più che neobarocca (p. 93-4) è neolitica: nella Papua Nuova Guinea, difatti, si pensa che farsi una foto sia farsi rubare l'anima - cioè "intervenire sull'immagine (vuol) dire intervenire sulla persona" (AA. VV., Lingue, Stampa Alternativa, Roma 1998, p. 73). Egl'è poi un testo che non s'interroga se lemmi quali "pornografia" e "osceno" siano appropriati (come pure intuisce a p. 133, discutendo le commistioni del genere) quando si dìano (o-) scene che, pur legate all'erotico, non tràttano del rapporto che si manifesta per i genitali - e si realizzano nella violenza o nel feticcio, dunque dovendo venir derubricati dalla pornografia propriamente detta, ricadendo semmai l'interdetto su questi, e non sull'esposizione (museale) di un piacere che, in sé, non ha nulla di dannoso. E questo silenzio cade malgrado poi si riconosca che ci sono materiali intrattabili per "la (loro) sostanziale differenza con il corpus di riferimento di questo libro". (p. 132)
E', ancora, un testo che (pp. 69, 83 e 87) discetta delle parti del corpo come sineddoche ("pars pro toto" e assieme sesso/frattura (p. 23)) o frammenti (passim) arrazzanti poiché "loro stesse", che riporta del volto e della sua assenza come doppia sessualizzazione, (il volto si sessualizza e il sesso non può fare a meno del volto), e purtuttavia sostiene che "il corpo fonda la narrazione" (p. 24) e dunque la significazione avviene tramite esso integro - trama, testo, "texture". (p. 94) E si contraddice e riscatta però analizzando il classico "la pornografia fa a pezzi il corpo", (p. 97) e delegittimandolo: "il dettaglio funziona come innesco", (p. 99) ovvero non si può dare un frammento se non a partire da un intero. (Omar Calabrese citato a p.100) Quello richiama questo, se no sarebbe sinnlös, (che senso ha un raggio senza ruota? A che serve il pelo a Holmes, se non a indurre la scoperta dell'assassino? E che sarebbe il Peloponneso senza pelo?(Arbore)) e non si ha spezzettamento, semmai "primo piano" (come nel cinema, e nella scienza dell'osservazione e della microscopia).
E oltre: l'indagine sull'erotografia rivela che il "perverso" è chi "piglia l'artificio alla lettera", e fa "dell'artificio una gabbia, la legge stessa". (p. 49) Si definisce il "pervertito" come l'individuo della norma, della regola, dell'istituzione - e così l'autentica "pornografia", nella sua essenza di ripetizione, (citazione, iterazione: p. 33) non è che il discorso del Potere: "il linguaggio encratico (...) è statutariamente un linguaggio di ripetizione". (R. Barthes, Il piacere del testo, Einaudi, Torino 1980(3), pp. 39-40) Il porno definisce (dà i limiti del)la società, i suoi discorsi - depotenziarlo (censurarlo e insieme assumerlo come replicazione/riproduzione), demerdizzarlo, vuol dire dirottare la "critica della ragione impura" (p. 45) non più sul centro del potere, sulla sua retorica, bensì sul nostro corpo. Trasferendo su noi potenziali perversi polimorfi la camicia di forza (a)sessuata dei nostri educastratori - ma "denn was wäre schon diese Revolution /ohne eine allgemeine Kopulation". (Marà-Ssà)
Vi sembra un libro complicato, complesso? Allegri. Essì, perché qualcosa di più complesso c'è, come lo specchio* magico e arba-cadabra-sino alla regina della favola ricordava "bella sei te, ma c'è / qualcuna che più bella è". Ma non darò in queste pagine la cosa che un'Autrice che per tutto il suo testo ha a che fare con "cortocircuiti neuronali", "rappresentazioni unarie", etimi latini, lemmi anglonipponici, ana(l)grammi in urdu, non affronta siccome troppo difficile. Non la darò, a meno di cinquantamila. Dico solo che è a p. 132, in nota. Lì dove spunta l'attacco d'una notevole coda di paglia.
(*)(cfr. pp. 17 e 26)
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