Ogni volta che esce un libro di Paterlini c’è la sorpresa: mia non sua. Ma non si capisce il perché. D’altronde di mestiere ha fatto sempre questo, cioè scrivere (non solo, ma a questo punto credo che sia effettivamente la cosa che gli è riuscita meglio), ma quando questo qualcosa esce c’è appunto la sorpresa, la mia, di trovarmi di fronte qualcuno che si è fatto da solo, ma lo ha fatto con onestà, rettitudine e anche un pizzico di fortuna.
Dunque Confiteor, cioè confessione e, rivela Paterlini, la confessione di un uomo per tre secoli, che detta così sembrerebbe una boutade (sarebbe in verità una cosa possibile, basta avere all’incirca 110 anni, o giù di lì, ma l’uomo ne ha 70). Ma non lo è, Paterlini, nel corso di quello che potremmo anche definire un romanzo autobiografico, ci parla delle sue origini, ma anche di quello che nel corso degli anni è venuto a sapere attraverso indagini (a volte nemmeno quelle), e attraverso i rapporti con i suoi genitori e quindi anche con quelli che sono venuti prima.
Non me ne voglia l’autore: ma quello che più mi ha interessato sono stati gli anni in cui lui si è costruito. Gli anni in cui, nonostante certe incertezze e certe “mancanze, ha realizzato un suo mondo fatto di occasioni, ma soprattutto di uomini e donne (e che uomini e che donne!).
Avendolo personalmente conosciuto e avendolo apprezzato per le sue scelte, ad un certo punto mi sono chiesto dove fosse il capitolo in cui parlava della sua passione per De Andrè (ma c’era), mi sono chiesto della sua passione per Ligabue (e c’era), mi sono chiesto dove fosse finita Lella Costa (ma c’era), mi sono chiesto che fine avesse fatto Ignazio Silone (ma c’era), che fine avesse fatto Luce D’Eramo (ma c’era) e soprattutto dove fosse finito quello che poi sarebbe diventato suo marito, Marco Sorgiu (e accidenti se c’era).
Piccoli e grandi momenti che hanno fatto grande l’esistenza di Paterlini. E ci si chiede pure perché tutto questo? Perché questo resoconto dettagliato di cose enormi e piccole? E soprattutto perché ce le ha raccontate con la massima franchezza?
Perché sì.





di Alfredo Ronci