I Classici
Tutto si può… o nulla si vuole. “Rattle” di Giovanni Ragagnin.
Riflettendo sulla storia ‘recente’ bisogna dire che il nostro romanzo, nonostante una certa coerenza di fondo, ha sempre subito scossoni di un certo rilievo: tanto per capirci… il futurismo dei primi del novecento o addirittura Bontempelli.
Il pessimismo di Arnaldo Frateili: Nebbia bassa.
Decisamente questo libro si porta dietro un misto di pessimismo e tristezza superiore a qualsiasi altra stampa del periodo (fu pubblicato inizialmente nel 1958), tanto che in seguito, cioè nel 1960, fu ristampato,
Quel che succede in fabbrica: “Memoriale” di Paolo Volponi.
Di tutto quello che è stato detto su questo libro (è considerato ormai da tutti come uno degli scritti fondamentali degli anni sessanta – e non solo), quello che mi ha parzialmente irretito (forse esagero, ma qualcosa di importante si è smosso) è stato il giudizio che ha rilasciato Elio Vittorini
Il compagno ‘forzato’. ‘Il compagno’ di Cesare Pavese.
Tra le tante considerazioni fatte su Pavese, quella che più mi ha colpito è stata quella di Barberi Squarotti indicata nel suo libro La narrativa italiana del dopoguerra.
Un capolavoro censurato: “Kaputt” di Curzio Malaparte.
Trovo scandaloso il modo in cui Curzio Malaparte è sempre stato trattato dalla 'critica' letteraria nostrana. Sentite cosa scrive Giuseppe Petronio nel suo Racconto del novecento letterario: fascista e antifascista, versipelle congenito, esempio esemplare di malcostume, cinico ed intelligente.
Dalle parole ai fatti: “Il marchese di Roccaverdina” di Luigi Capuana.
Gilberto Finzi, nell’introduzione al presente volume, dice: Il marchese di Roccaverdina è il titolo di un romanzo tardivo: se non capolavoro, certamente opera maggiore di uno scrittore più spesso citato che letto
Forse chiede molto di più: “Decadenza” di Luigi Gualdo.
Decadenza uscì nel 1892 per Treves, ma già in precedenza lo scrittore milanese si era fatto conoscere con altri romanzi, alcuni scritti direttamente in francese, e poi tradotti,
Della rimembranza: “La ferita dell’aprile” di Vincenzo Consolo.
Curioso il caso del libro d’esordio di Vincenzo Consolo. Uscì nel 1963 per Einaudi, ma per una serie di avvenimenti rimase, come si suol dire, carta straccia. Cioè, vendette poco o nulla.
Un ‘funzionario” o uno scrittore? Ballata e morte di un Captano del Popolo di Luigi Compagnone.
Ogni volta che si vuole fare uno studio, o semplicemente parlare di Luigi Compagnone, si è costretti a portarsi dietro gli altri nomi della letteratura napoletana: Domenico Rea, Carlo Bernari, Giuseppe Marotta, Aldo De Jaco, Michele Prisco e qualche altro ancora.
Tu, sanguinoso scrittore: “Verderame” di Michele Mari.
E’ indubbio che ci siano meccanismi ben precisi che ci indirizzano su autori invece che su altri. In questa nostra rubrica di classici, in verità, le scelte che cadono su uno scrittore invece che un altro derivano però solo dalla qualità delle loro opere
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